Angela Merkel e Martin Schulz (foto LaPresse)

Metti uno della Cdu e uno dell'Spd al bar, e scopri le differenze

Daniel Mosseri

Due elettori tedeschi ci raccontano la campagna elettorale, sono d’accordo su quasi tutto, anche sugli effetti collaterali

Berlino. La pancia piena associata però a un nostalgico senso di inquietudine. La fiducia nel presente slegata però da una chiara visione del futuro. Domenica 61,5 milioni di tedeschi over 18 si recheranno alle urne per rinnovare il Bundestag. In cabina elettorale gli elettori potranno esprimere due voti, anche disgiunti: uno per il candidato preferito nel proprio collegio uninominale, l’altro per sostenere uno degli oltre 40 partiti in lizza. Da mesi però tutti dicono che i giochi sono già fatti e che il vincitore sarà una volta ancora il partito cristiano-democratico, la Cdu di Angela Merkel, pronta a umiliare nelle urne l’Spd dello sfidante Martin Schulz.

 

A Berlino il Foglio ha incontrato due elettori degli opposti schieramenti per cercare di capire perché il risultato di questa elezione sembra scritto già da tempo, e che cosa invece è ancora incerto, e può riservare sorprese. Nel club dei giovani imprenditori di una casa editrice incontro Lars Zimmermann e Fabian Weissbarth, imprenditore ed ex candidato della Cdu al Bundestag nel 2013 il primo, responsabile stampa di un’organizzazione internazionale ed ex giovane socialista il secondo. Mostro ai due una ricerca del rigoroso istituto Ifo di Monaco, secondo cui “la maggior parte degli economisti tedeschi intravede differenze solo piccole fra la Cdu e l’Spd in molte aree della politica”, a cominciare da tasse e fisco. Se la Weltanschauung  politica è la stessa, perché scegliere uno rispetto all’altro? Perché, per esempio, la classe media vive di redditi fissi in una società in cui il prezzo degli immobili si sta impennando, risponde Fabian, nel ricordare che grazie ai socialdemocratici gli asili nido sono diventati gratis per tutti, “che l’infrastruttura sociale è modellata per migliorare la vita dei cittadini”. Lars sottolinea che il benessere e la stabilità della classe media sono obiettivi condivisi da tutti i partiti politici, destra liberale inclusa, ma poi domanda: “Per quale motivo una famiglia di milionari deve avere l’asilo gratis?”. Hanno dunque ragione i 130 economisti intervistati dall’Ifo secondo cui questa o quella per me pari sono? Per Lars il problema è a monte, e sta tutto “nell’assenza di politiche dalla politica”. Una diagnosi che ha un nome e un cognome: Angela Merkel, da tutti rispettata ma da molti criticata per mancanza di una visione. L’appiattimento generalizzato, prosegue Lars, è poi la chiave del successo dei populisti di Alternative für Deutschland, la cui proposta finisce per apparire necessariamente innovativa. Quella della mancanza di un vero confronto sui contenuti non è questione minoritaria se si considera che per i sondaggisti l’AfD domenica sarà il terzo partito più votato.

 

  

 

Seguendo il canovaccio dell’Ifo fornito all’inizio dell’incontro, Fabian concorda con Lars e aggiunge che l’esperienza della Grosse Koalition non è l’unica causa di una campagna elettorale piuttosto piatta: “In Germania è mancato un dibattito sull’innovazione, sulle sfide del futuro, su dove saremo fra dieci o 15 anni”. Ne consegue l’ulteriore accordo di Lars con Fabian: “Se un’azienda è leader globale di un settore rischia di pensare solo a come mantenere le proprie posizioni”, osserva l’imprenditore. Così è la Germania di oggi: il paese più solido d’Europa, con un governo fondato su una maggioranza larghissima, guidato da una leader la cui popolarità è ineguagliata e con la barra ben fissata al centro. Ecco perché, aggiunge l’ex candidato Cdu, il Partito liberale (Fdp) è forte nei sondaggi. Mentre centrodestra e centrosinistra parlano genericamente di buon lavoro e sicurezza, il partito di Christian Lindner ha impostato un’incisiva campagna di comunicazione su due cardini: digitalizzazione e formazione scolastica, settori nei quali la Germania non brilla. Per molti, aggiunge Lars, la digitalizzazione vuol dire solo mobilità, mentre l’Spd vive il passaggio all’economia 4.0 addirittura come una minaccia.

 

La sinistra preferisce guardare al passato ed è proprio nella richiesta di una maggiore giustizia sociale che Lars vede il limite più grande dell’attuale campagna socialdemocratica. Vuoi perché oggi l’Spd è partito di governo e non di opposizione, vuoi perché il linguaggio usato è poco concreto. Di nuovo d’intesa, Lars e Fabian indicano un limite interno al partito di Schulz: avere quadri politici ben preparati ma privo di attrattiva e carisma; politici con idee bellissime come l’integrazione dei disabili nelle scuole, ricorda Fabian, a volte però dimentichi dei bisogni quotidiani del cittadino medio. I due ospiti del Foglio concordano anche nel dire che i socialdemocratici sono meglio attrezzati a gestire questioni sociali, come la disparità di genere. Quello che all’Spd invece manca è la capacità di avvantaggiarsi dei propri successi, come l’introduzione del salario minimo legale che ha aumentato la giustizia sociale smentendo le cassandre del pensiero economico classico secondo cui la locomotiva nazionale avrebbe deragliato. In un moto di autocritica, Lars osserva anche che la Cdu non naviga in acque molto diverse: “Staremo a vedere cosa accadrà quando alla guida del partito non ci sarà più Merkel”.

 

La popolarità della cancelleria impedisce di preparare la successione, a destra come a sinistra. E in un ultimo sussulto di armonia bipartisan, Lars e Fabian ricordano che uno dei passaggi più interessanti della campagna ormai agli sgoccioli sia stato la pubblicazione di un articolo di Frank Strauss, stratega elettorale dell’Spd, secondo cui oggi osserviamo la competizione elettorale di partiti sostanzialmente nostalgici: con la Cdu che rimpiange i primi dieci anni di questo millennio (con Merkel), l’Spd la fine degli anni 90 (con Schröder), AfD gli anni 80 senza globalizzazione né immigrati, e i Verdi gli anni 70 infiammati dalle battaglie per l’ecologia. Lo sguardo al futuro è limitato al dopo-elezioni: per non essere alla mercé degli alleati la Cdu dovrà incassare più del 36 per cento, mentre per l’Spd un buon risultato parte dal 25 per cento. Quanto alle coalizioni futuribili, sulle stampa si legge molto di un’alleanza Cdu-Fdp-Verdi ma la verità è che, soprattutto nell’Spd, in molti puntano alla riedizione di una grande coalizione, con la barra sempre bene al centro.

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