La Diada, la festa storica del nazionalismo catalano (foto LaPresse)

Tra i secessionisti catalani fuori controllo pure Podemos è in imbarazzo

Eugenio Cau

Grande manifestazione, il governo di Madrid usa tutti gli espedienti per governare la crisi. I toni esasperati

Roma. La crisi del referendum secessionista indetto per il prossimo 1° ottobre dalle autorità della Catalogna è finita fuori controllo. Il governatore catalano Carles Puigdemont e i suoi colleghi secessionisti hanno perso il polso della situazione innescando un processo più grande di loro; Mariano Rajoy, primo ministro spagnolo, ha messo in campo un gran arsenale di armi penali e amministrative, ma non può garantire che i separatisti esasperati non tentino un colpo di mano. In mezzo tra i due fronti, poi, c’è un grande imbarazzo: quello di Podemos, la formazione populista e di ultrasinistra, che a tutti i livelli è colpita da polemiche interne per l’atteggiamento ambiguo della sua dirigenza nei confronti del referendum.

 

Ieri le forze indipendentiste hanno dispiegato per le strade di Barcellona una manifestazione oceanica, centinaia di migliaia di persone per la Diada, la festa storica del nazionalismo catalano. Si svolge tutti gli anni, e ogni volta si assiste allo spettacolo di roghi di bandiere spagnole e di foto del re Felipe, ma i toni erano più bellicosi del solito, e il ministero dell’Interno di Madrid si è affrettato a mandare uomini per timore che i manifestanti dessero l’assalto alle sedi delle istituzioni nazionali.

 

Tra Rajoy e Puigdemont, tra il governo nazionale e quello locale, da settimane si gioca una caccia del gatto con il topo. Il premier ha movimentato tutti i poteri dello stato contro i dirigenti catalani e chiunque faccia attività referendaria. A Barcellona i secessionisti utilizzano metodi da guerriglia, in un messaggio registrato Puigdemont ha promesso disobbedienza contro i poteri dello stato spagnolo, si stampano schede in luoghi segreti e si organizzano seggi clandestini. Il governatore ha chiesto ai sindaci delle città catalane di collaborare al referendum anche se farlo potrebbe avere conseguenze penali, ma tra i riluttanti è risaltato il nome di Ada Colau, sindaca di Barcellona in quota Podemos, che ha detto che non cederà gli edifici del comune per i seggi referendari, ma che comunque “farà il possibile” affinché il referendum si celebri. I secessionisti hanno accusato Colau di tradimento, e la posizione ambigua della sindaca esprime bene i dilemmi dei podemiti. Ieri il leader di Podemos, Pablo Iglesias, è intervenuto augurandosi una Catalogna “libera e sovrana”, ma molti dirigenti sono in rivolta contro la postura secessionista del partito.

 

“Per noi non è un’opzione rinunciare al referendum”, ha detto ieri Puigdemont, ribadendo una posizione ormai irremovibile: dopo aver rilanciato la posta in gioco indefinitamente, i dirigenti catalani non possono più ritirarsi dalle loro posizioni estreme, e sono costretti ad andare fino in fondo anche se le conseguenze saranno disastrose. E’ la condanna del populismo, che ha polarizzato gli animi. Secondo un sondaggio del Mundo sei spagnoli su dieci oggi vogliono che il referendum sia impedito a tutti i costi, e secondo Abc c’è una maggioranza che vuole che il governo usi contro Barcellona maniere più dure. 

  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.