Mauricio Macri (foto LaPresse)

Tagliando i sussidi si guadagnano voti, lezione dall'Argentina di Macri

Angela Nocioni

Il presidente vola nei sondaggi in vista delle legislative del 22 ottobre e punta tutto sul calo dell'inflazione e del deficit

Sorpresa. Il presidente taglia-sussidi invece di perdere voti li guadagna. Mauricio Macri, capo di un governo apertamente liberista che ha bruscamente svegliato l’Argentina dal sonno illusorio del cambio fisso (cioè a valore irreale) tra moneta nazionale e dollaro, che ha abolito le sovvenzioni governative al consumo di gas ed elettricità e ha deciso licenziamenti in massa nell’ipertrofico impiego pubblico, vola nei sondaggi per le legislative del 22 ottobre, dopo avere fatto il pieno di voti, il 13 agosto, nelle primarie obbligatorie tra partiti. Nonostante l’inflazione sia schizzata ai valori più alti degli ultimi quindici anni e Buenos Aires sia diventata la città più cara dell’America del sud anche per chi ha dollari in tasca.

  

 

Il voto di ottobre, che arriva a metà del mandato quadriennale del governo e serve a rinnovare la maggioranza degli scranni del Congresso, è tradizionalmente nella politica argentina un test fondamentale per valutare la tenuta del presidente in carica. Nelle primarie di agosto, con grande sorpresa di tutti compresa la sua, Macri ha ottenuto, in numeri assoluti, una quantità di voti superiore a quella che l’ha eletto due anni fa a capo del governo. Non ha raggiunto il 50 per cento, ma sfiora comunque il 36 per cento del totale. Si trova a contrastare una rediviva Cristina Kirchner che, nel bel mezzo del carovita insopportabile per molti, è riuscita a rimontare sì, ma non abbastanza da sorpassare il presidente. Ieri è arrivato il risultato definitivo dei voti a Buenos Aires e la Kirchner ha incassato il simbolico ribaltamento del verdetto dato per certo il 13 agosto, quando lo spoglio si era fermato a poco più del 90 per cento delle schede. Nella capitale lei non ha perso, come sembrava. Ha lo 0,2 per cento di vantaggio sul presidente (che della città è stato governatore). Magra consolazione per la ex presidente peronista che l’ultima volta, nel 2011, prese il 54 per cento in tutto il paese e stavolta si è fermata al 33,95 per cento a Buenos Aires. Macri ha stravinto invece in tutte le grandi città cominciando da Cordoba e ha strappato al kirchnerismo alcuni suoi territori chiave, come la patagonica Santa Cruz, culla politica dei Kirchner. 

 

Il costo sociale ed economico delle misure prese dal governo è stato molto alto per le fasce medie e medio basse della popolazione, ossia per la stragrande maggioranza del paese. L’aumento improvviso del costo della vita non ha avuto alcuna compensazione salariale. Ai licenziamenti di massa nel pubblico sono seguiti quelli nel privato. La fine delle sovvenzioni pubbliche alle bollette ne ha fatto triplicare l’importo.

 

Quando il costo della vita schizza in alto improvvisamente, senza un adeguamento dei salari, nell’Argentina iper-ideologizzata dove i sindacati (contro cui Macri è in guerra) hanno un capillare controllo della mobilitazione sociale, di solito ci si aspetta una rivolta. Invece no. Le piazze in questi mesi si sono sì riempite di manifestazioni di protesta, ma arrivata l’ora di votare gli argentini non hanno punito il presidente in carica.

 

Osserva stupito l’analista Ernesto Tenenbaum: “L’Argentina ha vissuto negli ultimi diciotto mesi un esperimento politico sommamente esotico. Macri è un personaggio stranissimo nella storia politica argentina. E’ il primo presidente venuto da una delle famiglie più ricche del paese dai tempi di Marcelo Torcuato de Alvear, cioè dal 1922, quasi un secolo. Macri è il primo che è stato presidente di una squadra di calcio, il primo a non appartenere a un partito tradizionale, a non essere né radicale né peronista. Se tutto continua a filare come è filato fin qui, e non c’è motivo per affermare il contrario, sarà il primo presidente non peronista a portare a termine il mandato, il primo dal 1928!”.

 

Il governo ora ha l’arduo compito di provare che i sacrifici imposti come necessari stanno per dare i loro frutti. E come farà in una società con una percentuale di poverissimi che supera il 36 per cento, con problemi gravi di deficit fiscale finanziato da un indebitamento che aumenta a passo svelto? Macri confida nel circolo virtuoso di un’economia che potrebbe crescere, anche se di poco, conta su un calo del deficit e dell’inflazione. I suoi critici prevedono invece che l’indebitamento potrà solo aumentare e che il deficit e l’inflazione conseguenti spingeranno Buenos Aires nella spirale di una delle sue solite e drammatiche crisi. Con queste tappe: crescono i debiti, gli interessi sul debito vanno ad aumentare il deficit creando quindi una nuova necessità di finanziarlo, il sistema regge finché i capitali non fuggono spaventati all’estero e tutto crolla di nuovo. Macri non ci crede e scommette: “Sta per cominciare il ventennio più felice della nostra storia”.

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