Martin Selmayr, capo di gabinetto di Jean-Claude Juncker

Berlino chiude la porta dell'Ue ad Ankara, ma Bruxelles lascia uno spiraglio

Valerio Valentini

Sia Merkel sia Schulz si dicono contrari all'ingresso della Turchia nell'Unione. Ma Selmayr, braccio destro di Juncker, è più cauto: "La mano resta tesa". Per ora

Prima il botta e risposta tra Angela Merkel e Martin Schulz durante il dibattito elettorale in tv. Poi le dichiarazioni di Martin Selmayr, capo di Gabinetto del presidente della Commissione Ue di Jean-Claude Juncker. A distanza di poche ore, Berlino e Bruxelles ribadiscono il concetto: l'ingresso della Turchia nell'Unione europea è un'eventualità sempre più remota. E non per responsabilità dell'Europa. “È la Turchia che sta scappando a passi da gigante dall'Ue”, ha detto esplicitamente il 46enne braccio destro di Juncker. E poi ha aggiunto: “La porta è aperta. E le mani restano tese, ma chi non vuole lavorare con noi non può aspettarsi che lo restino ancora a lungo”.

 

Un avvertimento, quello del tedesco Selmayr, arrivato come risposta alle domande dei giornalisti che gli chiedevano un commento al dibattito tra Merkel e il suo sfidante socialdemocratico Schulz, andato in onda in Germania domenica sera. Un dibattito che s'è vivacizzato soprattutto quando la discussione si è concentrata sui rapporti tra Ankara e Bruxelles. “Se andrò al governo interromperò i negoziati per l'ingresso della Turchia nell'Ue”, ha attaccato l'ex presidente dell'Europarlamento. “Per il momento i negoziati non esistono, e comunque per interromperli serve l'unanimità degli stati membri”, ha replicato la leader della Cdu in uno dei rari momenti di tensione del confronto televisivo, per il resto piuttosto disteso. “Io – ha poi rilanciato la Merkel – un ingresso nell'Ue della Turchia non l'ho mai contemplato, a differenza dei socialdemocratici che lo appoggiavano”.

 

Una serie di dichiarazioni che segnano il momento di massimo deterioramento dei rapporti tra la Germania e la Turchia. Al centro delle polemiche tra le due diplomazie, in queste settimane, c'è soprattutto la questione dei 55 cittadini tedeschi che risultano detenuti nelle carceri turche, 12 dei quali in condizione di prigionieri politici. Gli ultimi arresti – quelli di 2 tedeschi trattenuti all'aeroporto di Antalya, nel sud est del paese – hanno riacceso nelle scorse ore lo scontro, innescando una furiosa reazione da parte del governo di Berlino. Le cui proteste sono state però liquidate sbrigativamente da Mevlut Cavusoglu, ministro degli Esteri turco. Il quale, riporta la locale agenzia stampa Anadolu, ha suggerito ai tedeschi di “pensare agli affari loro”, e ha affermato che gli arresti eseguiti “sono al di fuori dei loro interessi”. Arresti che, secondo Ankara, sono motivati da ragioni politiche. Il governo turco ha sempre sostenuto i legami tra i cittadini tedeschi finiti in carcere e il tentato colpo di Stato del luglio 2016. “Quando arrestiamo uno che complotta contro il nostro governo la Germania comincia ad arrabbiarsi. Ma cosa dovremmo fare?”, ha chiesto ironicamente Cavusoglu, per poi precisare che gli ultimi arrestati erano in realtà cittadini turchi. Ricostruzione smentita da Berlino, che precisa come i due uomini fossero in possesso del solo passaporto tedesco.

 

Relazioni, insomma, che non sembrano affatto potere preludere a un ingresso della Turchia in Ue. E del resto il processo d'inclusione, da sempre piuttosto tribolato, aveva subito un brusco rallentamento già nel luglio scorso, quando il Parlamento europeo, in assemblea plenaria a Strasburgo, aveva detto esplicitamente “no” all'ingresso della Turchia. Lo aveva fatto con una votazione a larga maggioranza su un rapporto che condannava come sostanzialmente antidemocratiche alcune delle modifiche costituzionali approvate nel referendum turco di metà aprile. Il documento approvato dall'Europarlamento, non vincolante, ribadiva comunque la necessità di mantenere aperto il dialogo tra Ankara e Bruxelles. Ma ora anche quello, con la campagna elettorale tedesca che entra nella sua fase decisiva, potrebbe non essere più così scontato.