Un soldato giapponese delle Forze di autodifesa durante le esercitazioni a Fussa con il sistema antimissilistico PAC-3 (foto LaPresse)

Il Giappone rischia grosso senza un esercito contro Kim

Giulia Pompili

Sirene d’allarme sull’Hokkaido. Tokyo decide di non intercettare e abbattere il missile nordcoreano. Ma ora c'è un problema anche politico

Roma. È una provocazione “seria, grave e senza precedenti”, ha detto il primo ministro giapponese Shinzo Abe mentre tutto il mondo aspettava una reazione all’ultima sfida nordcoreana. All’alba di oggi un missile nordcoreano ha sorvolato il territorio nipponico per circa due minuti: è stato lanciato intorno alle 5 e 58 da una postazione mobile vicino all’aeroporto internazionale di Pyongyang, e ha volato in tutto circa quattordici minuti per poi cadere in acque internazionali nell’oceano Pacifico, a più di mille chilometri dalle coste giapponesi. E per la prima volta - nella notte tra lunedì e martedì in Italia - gli abitanti dell’Hokkaido, l’isola più a nord del Giappone, sono stati svegliati da un inusuale quanto inquietante segnale degli altoparlanti, che avvertivano di un possibile attacco missilistico, e poi di allontanarsi dai luoghi aperti e “trovare rifugio” in edifici sicuri o sottoterra. 

 

L’Hokkaido e gran parte del Tohoku, l’isola centrale del Giappone, sono stati interessati dall’allarme J-alarm, un sistema satellitare all’avanguardia che di solito è usato per avvertire in tempo reale i cittadini – tramite smartphone, messaggi in televisione e alla radio – su terremoti, maremoti, e altre catastrofi naturali. Oggi, però, la minaccia arrivava dai vicini nordcoreani.

 

Secondo le stime preliminari, il missile sarebbe di un tipo a medio raggio – per intenderci, non un Icbm, un missile intercontinentale. I tre stadi sono caduti in tre punti differenti ma in acqua, e non sulla terraferma (uno dei messaggi lanciati dalle autorità negli altoparlanti pregava la popolazione di non toccare alcun oggetto sospetto caduto dal cielo, e di contattare le Forze di polizia). Come di consueto, le risposte internazionali sono arrivate poco dopo. Il Giappone ha richiesto all’Egitto, che presiede questo mese il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, una riunione d’emergenza. Il presidente americano Trump ha ripetuto in una dichiarazione ufficiale che “tutte le opzioni sono sul tavolo”, ma dopo una conversazione telefonica di una quarantina di minuti con Shinzo Abe, i due si sono accordati per un “aumento della pressione” contro la Corea del nord, che vuol dire nuove sanzioni, e probabilmente più isolamento diplomatico. “Non è il momento del dialogo” ha detto Abe, non finché Pyongyang prosegue con il suo programma missilistico, un passo alla volta sempre più tecnologicamente avanzato. Mentre l’Amministrazione Trump è messa alla prova dalla tempesta in Texas, però, ci si domanda come mai il Giappone abbia lasciato cadere una provocazione così.

 

In Hokkaido, già da qualche mese, si eseguono esercitazioni antimissilistiche, proprio perché i test nordcoreani sin dalla fine del 2016 arrivano sempre più vicini – la maggior parte degli ultimi missili di Pyongyang sono caduti nella Zona economica esclusiva giapponese, quella parte di mare che precede le acque territoriali. Da una parte il problema è politico, e riguarda le convenzioni internazionali e le norme che regolano i rapporti tra Tokyo e il resto del mondo. Alla fine della Seconda guerra mondiale al Giappone venne imposta da parte degli americani una Costituzione che gli impedisse di riformare l’esercito e tornare all’aggressività imperialistica. In particolare tutto ruota intorno all’articolo 9, che tra le altre cose impedisce a Tokyo di dotarsi di un esercito regolare ma solo di Forze di autodifesa. E in effetti la sicurezza e la difesa giapponese sono già il tema più caldo delle elezioni politiche previste nel dicembre del 2018. La riforma costituzionale, che nel progetto dell’attuale primo ministro Shinzo Abe dovrebbe far tornare il Giappone ad avere un esercito regolare, è osteggiata da gran parte dell’opinione pubblica, da una parte degli alleati di governo e di gran parte del partito d’opposizione, il Partito democratico. Non è ancora chiaro, stante l’attuale situazione, se Tokyo possa procedere con l’intercettazione e l’abbattimento di un missile balistico che si avvicina al suo territorio. Tecnicamente, le Forze di autodifesa infatti possono entrare in azione soltanto in caso di attacco diretto sul territorio, e un sorvolo a 550 chilometri di altezza non è un attacco diretto. Poi c’è un secondo fattore: i sistemi antimissilistici attualmente sul suolo giapponese – e che oggi, per mostrare le capacità difensive, sono stati mostrati dai media nell’ambito di una esercitazione alla base statunitense di Yokota, a Fussa, vicino Tokyo, sono i PAC-3 americani. Sono sistemi con una capacità di gran lunga inferiore, per esempio, allo scudo antimissile Thaad che gli Stati Uniti stanno istallando in Corea del sud. Se il governo giapponese decidesse di intercettare e tentare l’abbattimento di un missile nordcoreano, non è detto che ci riesca: a quel punto, però, il danno d’immagine per le capacità difensive degli alleati sarebbe irreparabile.

 

Non è la prima volta che il Giappone viene sorvolato da un missile nordcoreano. L’ultima volta è accaduto nel 2009, e in quel caso non si trattava di un missile ma, formalmente, di un razzo lanciatore nordcoreano che avrebbe dovuto portare un satellite in orbita. I razzi e i missili vivono della stessa tecnologia, ma otto anni fa Pyongyang aveva coperto l’operazione con la scusa del programma spaziale. Stavolta, invece, ha mostrato la faccia. Oggi un’analisi di Stratfor sottolineava come a rendere più difficile la previsione di quando e come un missile nordcoreano viene lanciato sia il fatto che da qualche tempo vengono usati i lanciatori mobili, e da zone apparentemente non militari. La traiettoria del missile non coincide con il “piano d’attacco” dichiarato da Kim Jong-un nel periodo di Ferragosto: l’esercitazione, che prevedeva il sorvolo del Giappone, sarebbe dovuta avvenire contro Guam – e quindi avrebbero dovuto lanciare il missile verso sud, mentre hanno lanciato verso nord. C’è un problema tecnico e geografico, spiega Stratfor: i confini nordcoreani rendono difficile per Pyongyang testare un missile balistico in condizioni di attacco realistiche senza sorvolare un paese vicino. Solo che fino a oggi, proprio per evitare la provocazione, i missili a medio e lungo raggio erano lanciati molto in alto, oggi invece la traiettoria è stata più orizzontale. E’ per tutti questi motivi che Shinzo Abe ha definito il lancio “senza precedenti”.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.