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Un Comitato per la salvezza dell'America prova a guidare Trump

Daniele Raineri

C'è un'alleanza informale di generali, pezzi grossi newyorchesi e leader repubblicani che da dentro tenta di limitare i danni della presidenza. Se lui però se ne accorge fa saltare tutto

Roma. La prima regola del Comitato per salvare l’America è che non si parla del Comitato per salvare l’America, ma è quello che i media americani stanno facendo. La definizione “Comitato per salvare l’America” è stata creata dal giornalista politico Mike Allen e descrive l’alleanza informale di generali, pezzi grossi newyorchesi e leader repubblicani che da dentro tenta di limitare i danni della presidenza Trump e prova a evitare che il commander in chief prenda decisioni guidate soltanto dai suoi impulsi più demenziali. “Non avete idea delle idee pazze che sono riusciti a uccidere”, risponde una dozzina di funzionari anonimi alla domanda di Allen sul perché gli uomini del Comitato hanno scelto di restare alla Casa Bianca. “Se non fosse per loro avremmo una guerra commerciale con la Cina, deportazioni di massa e il blocco del budget del governo per finanziare la costruzione del muro”. Del Comitato fanno parte il consigliere per la Sicurezza H. R. McMaster, il capo di staff ed ex generale dei marines John Kelly, il capo del Pentagono Jim Mattis – che hanno stretto un patto: uno di loro deve restare sempre vicino alla Casa Bianca – il consigliere economico Gary Cohn e il vice consigliere per la Sicurezza nazionale Dina Powell, più, come si diceva, gli uomini del partito di Trump. E ieri un editoriale del Wall Street Journal esortava i repubblicani a non considerare il presidente come uno dei loro, un repubblicano, ma come un presidente indipendente: prima di seguirlo, c’è da valutare caso per caso.

 

Il problema di questa contrapposizione così grezza tra Comitato salvatore del paese e Trump mattoide manipolabile che circola sui media americani è che prima o poi Trump se ne accorgerà e deciderà di imporsi su qualche dossier importantissimo per dare un segnale inequivocabile: lui non si fa domare, si scrolla di dosso qualsiasi struttura di contenimento. Non basterà più quindi fare come McMaster, che gli ha mostrato le foto anni Settanta delle ragazze locali in gonna corta a Kabul per convincerlo che c’è ancora una possibilità di redenzione per l’Afghanistan e quindi ad autorizzare l’invio di più truppe. Trump è uno a cui piace vedere per prendere una decisione rapida, azzerò il programma di addestramento dei ribelli siriani dopo che qualcuno gli ha fatto vedere il video di un gruppo di ribelli vicino ad Aleppo che decapita un bambino soldato. E ancora prima, si è detto che abbia deciso di ordinare il bombardamento missilistico contro la Siria dopo avere visto i video degli effetti del gas sui civili all’inizio di aprile.

 

Ieri Maggie Haberman ha spiegato sul New York Times con un articolo basato su una coppia di memorandum fatti circolare dentro la Casa Bianca che questa – controllare gli input – è la strategia usata dall’ultimo capo di staff, John Kelly, per diminuire le possibilità che ci sia un processo decisionale troppo erratico dentro la Studio ovale. Non potendo fare pressione in nessun modo per il timore di scatenare una reazione uguale e contraria, Kelly ha imposto un controllo ferreo su come le informazioni arrivano alla scrivania di Trump. Prima devono essere controllate e autorizzate, e se si tratta di bozze di ordini esecutivi devono essere approvate personalmente da Kelly. Inoltre è stato stabilito un isolamento discreto, per evitare le interferenze esterne e gli incontri “casuali”: la porta dello Studio ovale deve essere tenuta chiusa e anche la porta del corridoio appena fuori. Non si potrà più vedere Trump senza appuntamento, e le uniche eccezioni sono per la moglie Melania e il figlio piccolo Barron. Il tempo dei dossier di origine molto dubbia e della regola “vince l’ultimo che ha ottenuto l’attenzione del presidente” è finito.

 

Durante la riunione in cui ha presentato queste regole, Kelly si è girato verso Ivanka Trump e le ha detto che varranno anche per lei, “a meno che tu non stia proprio vedendo Trump in qualità di figlia”. Quando il primo capo di staff, Reince Priebus, aveva tentato la strada nessuno lo aveva preso sul serio. Ma ora c’è un ex generale dei marines e nessuno osa sfidare le sue disposizioni.

 

Le rivelazioni di Allen e Haberman sono brutali, descrivono una Casa Bianca dove il primo problema dello staff del presidente è il presidente stesso. Soprattutto, sono il tipo di articoli che spingono Trump a sbarazzarsi in fretta del giogo, fino a quando ci proverà qualcun altro.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)