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Trump si perde anche il Senato

La guerra con McConnell è l’ultimo stadio dell’autolesionismo: il dissidio carsico, limitato al perimetro del palazzo, si è trasformato in una guerra aperta che mostra già le sue ricadute elettorali

New York. Dopo aver punito i rappresentanti dell’establishment e quelli della “alt-right” che aveva portato alla Casa Bianca, dopo aver messo sotto pressione pubblicamente il procuratore generale, Jeff Sessions, e aver rotto con gli amministratori delle aziende che gli avevano dato fiducia per via di una riforma fiscale che non si è ancora materializzata, ora Donald Trump ha rotto anche con la leadership repubblicana al Senato. E’ un nuovo stadio dell’autolesionismo presidenziale.

 

Da settimane Trump non parla con Mitch McConnell, capo dei senatori del Gop, e secondo il New York Times in privato McConnell confida che non sa se il presidente riuscirà a tenere insieme a lungo un’Amministrazione che cade a pezzi. Una decina di giorni fa Trump ha rimproverato McConnell su Twitter per non essere riuscito a trovare i voti per revocare la riforma sanitaria, obiettivo di cui “ha parlato per sette anni”. Il senatore ha detto che Trump aveva “aspettative eccessive” dal processo democratico, e la querelle social ha dato origine a una telefonata di grida e insulti che ha sancito di fatto la fine dei rapporti fra i due. Il dissidio carsico, limitato al perimetro del palazzo, si è trasformato in una guerra aperta che mostra già le sue ricadute elettorali.

 

L’anno prossimo ci sono le elezioni di midterm, e la macchina delle primarie è già avviata. Il Senate Leadership Fund, il gruppo che eroga i finanziamenti elettorali per conto dei leader del Senato, ha già preso a sostenere candidati critici verso Trump e a bastonare i sostenitori del presidente. In Arizona è partita una campagna a sostegno di Jeff Flake, senatore che ha scritto un libro antitrumpiano che riprende il titolo del manifesto di Barry Goldwater, The Conscience of a Conservative. La sua avversaria, Kelli Ward, è stata bersagliata da spot commissionati da McConnell in cui si sbugiardano le sue “crazy ideas”. L’ossessione paranoica per le scie chimiche le è valso un soprannome di quelli che solitamente è Trump ad affibbiare agli avversari: “Chemtrail Kelli”. Trump la sostiene a spada tratta e non perde occasione per castigare il suo oppositore, che “è debole sui confini, sul crimine ed è un fattore non percepito in Senato”. McConnell è stato a lungo un soldato riluttante ma tutto sommato fedele del trumpismo. Come per molti altri, il rifiuto di condannare inequivocabilmente i neonazisti di Charlottesville ha esacerbato una situazione già per molti versi compromessa.

  

McConnell ha comunicato ad alcuni leader aziendali che sostenevano Trump tutto il suo disagio per la gestione del caso, e quando alcuni di questi hanno dato le dimissioni dai loro ruoli di consiglieri informali del presidente lo hanno chiamato per ricevere conforto. Hanno ottenuto piena comprensione dal senatore in rotta di collisione con la Casa Bianca. Il portavoce di McConnell insiste sugli “obiettivi condivisi” fra i senatori del Gop e la presidenza, fra cui la riforma fiscale, quella delle infrastrutture, il rifinanziamento dello stato federale per evitare lo shutdown, il decreto sul budget della difesa. Ma con un Trump che dal palco di Phoenix promette di portare lo stato al collasso se non sarà varata la costruzione del muro al confine con il Messico e con il crescente disagio di senatori che fino a qui si sono allineati soltanto per obbedienza alla leadership, non si sa quanti di questi obiettivi saranno ancora condivisi quando il Congresso si riunirà di nuovo a settembre dopo la pausa estiva. In aula arriveranno la legge di bilancio, la riforma del codice fiscale e il dibattito sui limiti dell’indebitamento dello stato. Con la maggioranza risicata che si ritrovano i repubblicani, il margine di errore è prossimo allo zero. Per McConnell l’alleanza con Trump è complicata anche dalla posizione della moglie, Elaine Chao, segretaria dei Trasporti che l’altro giorno se l’è cavata davanti ai cronisti che la mettevano sotto pressione sulle liti fra marito e presidente con una risposta imbarazzata: “Sostengo i miei uomini, entrambi”. L’ira funesta di McConnell, però, ha dato un segnale a tutti i senatori, che ora si sentono più liberi di dissentire con la Casa Bianca: “Quando si parla del Senato vige un informale articolo 5: un attacco contro uno è un attacco contro tutti”, ha detto un belligerante Lindsey Graham, senatore riottoso che attendeva con ansia la copertura delle leadership del Senato.

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