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2017 anti populisti

Redazione

Per il Wall Street Journal l’assalto all’Unione europea ha causato le sconfitte in serie dei populisti. I danni della Brexit e di Trump alla retorica degli imitatori europei

Il 2017 doveva essere l’anno dei populisti, dopo le vittorie a sorpresa della Brexit e di Donald Trump dello scorso anno. E invece, scrive il Wall Street Journal, i partiti populisti dell’Europa continentale hanno subìto sconfitte elettorali in tutti i paesi che sono andati al voto, e ora sono costretti a ripensare la loro strategia elettorale, soprattutto rispetto all’euroscetticismo, una retorica che si è rivelata controproducente per il consenso.

 

“Hervé de Lépinau, candidato alle elezioni legislative per il Front national, ha terminato la sua campagna elettorale a giugno attaccando la leadership del suo partito prima di perdere le elezioni in un collegio considerato molto favorevole: ‘Fare dell’uscita dall’euro l’essenza della nostra piattaforma è stata un’assurdità’, ha detto. Molti politici dell’estrema destra europea ora credono che il tentativo di associare se stessi al montante sentimento antiestablishment che ha portato al successo la Brexit e Donald Trump sia fallito”. Secondo il quotidiano newyorchese incentrare il messaggio sull’uscita dall’euro e dall’Europa al posto di privilegiare i tradizionali argomenti anti immigrazione è stato un errore: per gli elettori europei i risultati elettorali del Regno Unito e degli Stati Uniti sono stati destabilizzanti e hanno permesso a leader centristi come Emmanuel Macron e Angela Merkel di apparire come più affidabili. “I partiti nazionalisti hanno smesso di parlare apertamente di un’uscita dall’euro e hanno compreso che accreditarsi come la versione locale di Donald Trump non è una mossa vincente. Gerolf Annemans, uno dei leader del Partito nazionalista fiammingo belga che fa parte del gruppo dei partiti euroscettici al Parlamento europeo, ha spiegato al Wsj che i populisti ‘erano talmente elettrizzati dopo Brexit e Trump che pensavano tutti di diventare il presidente o il primo ministro del loro paese’”.

 

Ciononostante, avverte il Wsj, il consenso populista rimane elevato se confrontato ai suoi standard storici. Marine Le Pen ha perso le elezioni, ma ha raggiunto il 34 per cento dei voti, quasi il doppio di quanto ottenne il padre nel 2002. Inoltre, “se il partito anti-immigrazione Alternative für Deutschland, o AfD, riuscisse a entrare nel Bundestag alle elezioni di settembre, sarebbe la prima volta da decenni per un partito di estrema destra. In Austria, le elezioni di ottobre potrebbero consentire al Partito della libertà, di estrema destra, di entrare in una coalizione di governo. Il Movimento 5 stelle italiano, ideologicamente eclettico, potrebbe diventare il primo partito del paese nelle elezioni previste nel 2018”. Esistono ragioni per essere ottimisti, in ogni caso. Anche i sondaggi mostrano un arretramento dei populisti, passati da una media del 30 per cento nel 2016, al 23 per cento, secondo un’elaborazione sui sondaggi europei degli economisti della banca Nomura Holding.

 

“L’olandese Partito per la libertà, guidato dal leader anti islam Geert Wilders, ha conquistato più seggi nelle elezioni di questo marzo rispetto al 2012, ma meno rispetto al 2010. Come Wilders, Marine Le Pen ha ottenuto un risultato elettorale inferiore rispetto ai sondaggi dell’inverno. Afd è data intorno all’8 per cento in Germania, molto al di sotto del 15 per cento registrato nei sondaggi dell’ultimo autunno”. I giornalisti del Wsj sottolineano come Wilders si sia atteggiato come il Trump olandese, e Le Pen abbia provato a incontrare senza riuscirci il presidente, cercando di emulare anche la campagna della Brexit con slogan come “Frexit” o “Nexit”, senza successo. “In realtà molti elettori europei erano turbati da quanto stava accadendo negli Stati Uniti e nel Regno Unito. In più, il supporto per l’Unione europea, molto tiepido dopo la lunga crisi del debito e dei flussi migratori, è ricominciato a crescere. L’ultimo sondaggio sulle preferenze dell’opinione pubblica europea, pubblicato ad agosto, mostra che la fiducia nell’Unione è salita al 42 per cento rispetto al 36 per cento dell’anno scorso e al 32 per cento del 2015. La maggiore crescita economica europea, specialmente nei 19 paesi dell’Eurozona, ha aiutato a tamponare parte dello scontento”.

 
Insomma, da un lato la paura per salti nel vuoto come Brexit o per personaggi come Donald Trump, dall’altro la ripresa della crescita economica e dell’occupazione, hanno tagliato le gambe alla retorica populista. “Peter Appelt, un uomo di 57 anni che lavora in una fabbrica di treni della Germania dell’est, l’anno scorso aveva dichiarato al Wsj che avrebbe supportato l’AfD perché l’Europa ‘non funziona’, e perché impaurito dell’afflusso di migranti. Ricontattato in questi giorni, sostiene di aver cambiato idea: non sa se voterà il 24 settembre, ma di sicuro non per l’AfD, troppo amatoriale e estremo. Quanto accaduto negli Stati Uniti e nel Regno Unito lo ha reso più scettico: ‘Come Trump con il suo muro, l’AfD vuole impedire l’ingresso a tutti gli stranieri. Questo non può funzionare, in un mondo globalizzato non puoi agire come fossi un’isola’”. Donald Trump non ha danneggiato la retorica populista dell’Europa continentale soltanto con i suoi problemi politici interni, ma anche con le dichiarazioni critiche verso l’impegno americano nella sicurezza europea. Questo, secondo il quotidiano finanziario, ha reso gli europei più consapevoli della necessità di collaborare: “Soltanto il 20 per cento dei tedeschi vuole meno cooperazione europea, mentre il 78 per cento supporta più cooperazione tra i paesi dell’Unione, secondo un sondaggio Ard. Un’altra indagine condotta da Gfk a marzo ha mostrato che soltanto il 10 per cento dei tedeschi voterebbe per lasciare l’Unione, mentre il 75 per cento voterebbe per restare”. La relativa popolarità dell’Europa nell’elettorato ha creato non pochi problemi al Front national, che aveva basato gran parte della sua fallimentare campagna elettorale sull’uscita dall’euro e dall’Europa. “Alcuni esponenti del Front national pensano che il partito dovrebbe tornare al suo tradizionale messaggio anti immigrazione” scrive il Wsj, “tra i più critici verso la leadership di Marine Le Pen è Marion Maréchal Le Pen, la giovane nipote, che ha detto più volte come il ritorno al franco sia irrilevante rispetto ai problemi degli elettori. A seguito della sconfitta elettorale alle presidenziali ha lasciato tutti gli incarichi che deteneva nel partito, lasciando Lépineau a difendere il suo collegio in Vaucluse alle elezioni legislative di giugno, quando ha perso. In un incontro, a luglio, i leader del partito hanno riaffermato la loro opposizione all’Unione europea, ma hanno detto che daranno priorità alle loro proposte sui temi come l’immigrazione e una politica commerciale protezionista. Non c’è più posto per la ‘sovranità monetaria’”. Il Wsj conclude il lungo articolo ricordando che la disaffezione nei confronti di Bruxelles resta comunque molto alta: “Un sondaggio del Pew Research Center mostra che gli europei restano critici verso Bruxelles; il 46 per cento non ha approvato la gestione della lunga crisi economica, mentre il 66 per cento non ha approvato la gestione della crisi migratoria. Ma la disaffezione non si traduce, ancora, in volontà di lasciare l’Unione: solo il 18 per cento degli europei voterebbe in questo senso, mentre il 77 per cento restare. Appelt, il lavoratore tedesco, ha spiegato che gli elettori daranno solo una piccola opportunità ai leader dei partiti tradizionali: ‘Il punto è capire se le cose andranno meglio. Se non succede nei prossimi anni, è possibile che l’Europa rischi di nuovo di essere sedotta dall’estrema destra”.