I soccorsi dopo l'attentato sulla Rambla (Foto LaPresse)

Attacco ai civili: tocca alla Spagna

Daniele Raineri

Quello dello Stato islamico sulla Rambla di Barcellona è l’ottavo attacco di questo tipo in Europa nell’ultimo anno. Un sospetto è morto dopo aver forzato un posto di blocco

Roma. L’attentatore ha usato la tattica del furgone noleggiato e lanciato sulla folla, già sperimentata da altri sette attentatori con successo nell’ultimo anno in Europa, per esempio a Nizza, a Stoccolma e tre volte a Londra. Secondo fonti ufficiali del governo spagnolo, ha fatto così tredici morti e una sessantina di feriti. Poi è fuggito a piedi e per due ore i siti di notizie hanno scritto che aveva preso in ostaggio i clienti dentro un ristorante turco – non sarebbe stata una sorpresa, perché le istruzioni che lo Stato islamico aveva fatto circolare all’inizio di maggio sul numero nove della sua rivista Rumiyah (Roma) dicono proprio questo: quando è possibile prendete gente in ostaggio, beninteso non per negoziare con la polizia ma per aumentare al massimo l’attenzione prima della carneficina finale. Ma non era vero nulla. La polizia spagnola ha smentito e per il momento ha soltanto detto di avere arrestato due uomini “collegati all’attacco” e di avere trovato un sospetto morto, dopo che aveva forzato un posto di blocco fuori Barcellona – non si sa se colpito dagli agenti. 

  

Il terrorista ha colpito a Barcellona, che secondo i dati delle forze di sicurezza è uno dei luoghi più a rischio della Spagna: dei 178 arrestati nel paese per estremismo islamico tra il 2013 e il 2016, quasi tutti appartengono soltanto a quattro province e Barcellona è la prima della lista, uno su cinque sta lì, e quasi sempre si tratta di gente che non è andata in Siria e in Iraq ma si è radicalizzata in casa. Questa volta l’identità del noleggiatore del furgone potrebbe raccontare una storia diversa, perché non è un locale ma un un uomo di origini arabe che viene da Marsiglia. Il bersaglio scelto è stato il più ovvio, la Rambla, che è un bersaglio pagante perché sempre affollata da civili disarmati ed è anche un luogo-simbolo in tutto il mondo. Quando si dice “più a rischio”, però, bisogna considerare comunque che i circa duecento arresti per estremismo islamico sono un numero molto basso, in Inghilterra ci sono due arresti al giorno per lo stesso motivo e la polizia inglese non diffonde il numero esatto per non scatenare un effetto emulazione. Dopo la strage della stazione di Atocha a Madrid nel 2004, la Spagna era rimasta fuori dal ciclone che aveva investito i vicini, la Francia con le sue migliaia di foreign fighters partiti per Siria e Iraq e, appunto, la Gran Bretagna. Certo, ci sono stati casi di capi dello Stato islamico passati per la Spagna, uno di loro per esempio era Abu Jandal al Kuwaiti, uno dei più feroci comandanti militari dello Stato islamico, che cinque anni fa era in Spagna a studiare ed è stato ucciso da un bombardamento americano a gennaio vicino a Raqqa. Ma tutto sommato le cose andavano bene, considerato che nel luglio 2016 uno dei canali semiufficiali dello Stato islamico, al Wafa (che in arabo vuol dire: la fedeltà) aveva pubblicato un pamphlet per spiegare perché gli attacchi contro la Spagna sono giustificati.

  

A differenza che in altri attacchi, lo Stato islamico ha rivendicato la sua responsabilità dopo soltanto quattro ore – a volte aspetta intere giornate, segno che forse c’erano contatti solidi. E usa la parola “soldati dello Stato islamico”, al plurale. Ma i sostenitori su internet avevano già cominciato a far circolare minacce scritte in spagnolo molto sgrammaticato, come per esempio: “Empiezamos ya de matar vosotros inosentes igual como vosotros goviernos estan matando nuestra inocentes”, “Cominciamo a uccidere i vostri innocenti come voi uccidete i nostri”, corredate da foto rubate dai media e poi modificate al computer con effettacci grossolani per renderle più spaventose.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)