Foto Douliery Olivier/ABACA

Processo al testosterone trumpiano

Dov'è il maschio americano? Illusioni di virilità alla Casa Bianca 

Roma. La Casa Bianca non è priva dell’elemento femminino – un’inchiesta di Annie Karni su Politico racconta che le donne sopravvissute fin qui nell’Amministrazione hanno posti e prospettive più stabili dei loro colleghi uomini, sempre pronti al licenziamento fulminante – ma la logica del potere di Donald Trump è evidentemente un intrigo mascolino. La gestione del potere procede per scontri fra maschi alfa, capibranco che segnano il territorio, s’azzannano, creano e sciolgono alleanze che durano giusto il tempo di raggiungere l’obiettivo di giornata. Al sorgere del sole riparte la ferale bellum omnium contra omnes. Ci sono varie modalità di affermare la propria mascolinità nel regno di Trumplandia. C’è Steve Bannon che aleggia silenzioso dietro le quinte con fare da Rasputin, c’è Anthony Scaramucci che sbraitando con un giornalista si prende la briga di spiegare che lui “non si succhia il cazzo da solo”, un contraltare da fascia protetta del famoso “grab by the pussy” indicato da Trump come metodo di rapporto preferenziale con il gentil sesso, c’è uno stuolo di generali che con divisa e mascelle in tensione trasmette quel senso di autorità marziale necessario a una Casa Bianca altrimenti immersa nel caos. Jared Kushner, il meno esplicitamente belligerante fra gli uomini di Trump, regna incontrastato con forme silenziose di assertività. E’ nota la tendenza del presidente ad ammirare l’uomo forte, e le recenti tensioni politiche con il Cremlino non oscurano la preferenza estetica per il tipo putiniano, che fissa la dimensione eroica nelle iconiche cavalcate a petto nudo nella steppa. Il testosterone è il motore che muove il mondo di Trump, esibizione di presunte virtù maschili che sembravano scomparse da un orizzonte dominato da visioni androgine e genderless.

   

Harvey Mansfield, grande esegeta di Machiavelli e raro esemplare di intellettuale conservatore rimasto ad Harvard, aveva constatato anni fa la fine della “manliness”, la virilità, virtù impresentabile da eliminare dalla faccia del dibattito: “Oggi la stessa parola ‘manliness’ sembra bizzarra e obsoleta. Siamo in procinto di rendere la lingua inglese senza genere, e la ‘manliness’, la qualità propria di un genere, o piuttosto, di un sesso, sembra descrivere l’essenza del nemico che stiamo attaccando, del male che stiamo sradicando”. In apparenza, Trump e il suo clan in lotta perenne stanno ravvivando il tratto di cui il politologo lamentava la scomparsa, ma vari osservatori notano che questa superficiale rivincita della virilità è l’ennesimo bluff trumpiano. Secondo Mansfield, la caratteristica fondamentale della mascolinità è la “sicurezza in situazioni di rischio”, ma il presidente sbroglia le complicazioni con reazioni istintive, si nasconde dietro una tweetstorm roboante, mostra supremo disprezzo per il calcolo delle conseguenze delle proprie azioni e fa poco o nulla per nascondere l’incapacità di controllare la scena. Peggy Noonan sul Wall Street Journal ha scritto che “Melania è più dura di lui, con il suo stoicismo e la sua grazia, la sua autodisciplina e il desiderio di mostrare al mondo il rispetto presentandosi con dignità”. L’editorialista cita come modello vituperato da Trump l’eroe americano classico, il John Wayne silenzioso che con nerbo e coraggio s’adopera per la giustizia, attraversando senza esitazioni le peripezie che questo comporta.

   

Sul New York Times l’editorialista conservatore David Brooks ha richiamato la virtù mascolina dell’uomo antico per rimarcare il contrasto con la virilità cosmetica e bisbetica del presidente, patrono dei permalosi e di quelli che ritirano la parola data. “Il concetto della virilità della Grecia classica enfatizza certi tratti – scrive Brooks – la virtù su cui si poggia è il coraggio. L’uomo virile si espone e rischia la morte e le critiche. L’uomo virile è assertivo. Non retrocede ma si getta in ogni disputa. L’uomo virile è competitivo. Cerca il modo di competere con gli altri, per dimostrare le sue capacità e per affermarsi come il migliore. L’uomo virile è sicuro di sé. Sa il proprio valore. Ma è anche sensibile. E’ offeso se gli altri non gli concedono gli onori che gli spettano”. L’incapacità di controllarsi di Trump, la sua reattività ondivaga e l’assenza di polso sono l’opposto della virtù classica dipinta da Brooks, la sua opulenta ingordigia è in realtà il segno della debolezza di un leader che è dominato dalle circostanze quando sarebbe invece chiamato a dominarle. Alla Casa Bianca va in scena una lotta maschia, ma non è lì che si ritroverà la virilità perduta in questi tempi d’indifferenza sessuale.

Di più su questi argomenti: