Michel Barnier incontra David Davis. Foto LaPresse/Reuters

Ma quale cautela sulla Brexit, i francesi van dritti alla giugulare della City

Paola Peduzzi

Un leak spietato, una rivalità antica, l'ora della rivincita

Milano. I francesi vogliono una Brexit durissima, altro che mani tese e braccia aperte, andatevene e andatevene sbattendo la porta, noi siamo solo contenti. La Francia vuole massimizzare il proprio tornaconto: se Londra è debole, Parigi può approfittarne e a quel punto aprire le braccia e tendere le mani, non al governo inglese ma agli investimenti e agli investitori orfani della loro City. Domenica la storica faida tra il Regno Unito e la Francia s’è arricchita di un nuovo capitolo, e poiché la Brexit ha avuto già l’effetto di annientare ogni ironia e leggerezza, le reazioni sono state alquanto permalose. Il Mail on Sunday ha pubblicato un memo dell’invitato della City di Londra in Europa, il liberaldemocratico Jeremy Browne, che è uscito tramortito da un giro di incontri con rappresentanti francesi: in particolare, il governatore della Banca centrale di Parigi è stato il colpo fatale, il meeting “peggiore che abbia avuto in tutta Europa”, rivela Browne, i francesi sono a caccia della “distruzione”, “sono molto cristallini sull’obiettivo sottostante alla loro politica: l’indebolimento del Regno Unito, il degrado della City di Londra”. Si potrebbe dire che sono stati gli inglesi a scegliere questa strada e che ora non possono lamentarsi o spaventarsi se la loro decisione ha conseguenze nefaste, ma si sa che nelle relazioni con gli europei, e in particolare con i francesi, non sempre vincono ragionevolezza e pragmatismo: ci sono i rancori e le attese di secoli di convivenza.

   

Questa è la settimana in cui si comincia a discutere di Brexit in modo preciso, senza un piano da parte di Londra ma con molte linee rosse stabilite da Bruxelles: le intenzioni sono sempre buone, ci accorderemo, ci avvicineremo, ci ascolteremo, ma intanto ognuno fa i propri calcoli, le grandi città d’Europa guardano avide alla City pensando a quanto si potrà guadagnare nel processo di sostituzione della città-attira-business. Il fatto che il caponegoziatore, Michel Barnier, sia francese non fa dormire nessuno a Londra: quando fu nominato Barnier, si sentirono urla di indignazione e insofferenza alzarsi dai palazzi inglesi, siete tantissimi e proprio un francese dovevate metterci come interlocutore principale? Ci volete punire, boicottare, ferire, hanno continuato a ripetere molti britannici – quando anche la stessa premier, Theresa May, ha sciaguratamente gridato al complotto europeo anti inglese, è parso chiaro che a capo dell’eventuale boicottaggio ci sarebbe stato un francese. Basta guardare come è cambiato l’atteggiamento nei confronti del capo dell’Eliseo, Emmanuel Macron, da parte dei giornali che sostengono la Brexit. Dopo aver cavalcato l’ascesa di un liberale con molte entrature nella City, è calato il gelo: il neoeuropeista che per l’interesse del proprio paese è disposto a fare più o meno tutto è diventato, secondo la definizione dell’infastidito Telegraph, “la nemesi” della Brexit. Macron in realtà è stato molto accogliente con la May, ha ripetuto che l’Europa è pronta a coltivare i rapporti con il Regno Unito anche senza una membership completa al progetto europeista, ma i più non si sono sentiti affatto rassicurati. Secondo il memo di Browne, la verità è l’esatto contrario, la Francia vuole un negoziato spietato, al punto che si starebbe scontrando con altri partner europei che invece propendono per toni conciliati, non per generosità, ma perché la rottura delle trattative ha un costo che rischia di ripercuotersi anche su altre economie europee. I francesi che si sentono fortissimi invece no, vanno dritti alla giugulare del governo inglese, si prendono la rivincita. Senza andare troppo indietro nel tempo, c’è stato lo scontro olimpica tra Londra e Parigi vinta da Londra – e ancora sono vive le immagini delle piazze che aspettavano il verdetto sull’assegnazione delle Olimpiadi del 2012: Londra scoppiò in un boato di gioia, Parigi ammutolì, si spense con gli occhi bassi. Poi, quando l’ex presidente Hollande s’infatuò della megatassa per i redditi più elevati, l’allora sindaco di Londra Boris Johnson iniziò a lanciare appelli ironici ma precisi: venite da noi, questa è la città del merito in cui la ricchezza non è trattata come una malattia. La Francia non ha mai vissuto bene la rivalità, e ora si riprende tutto, gloria, investimenti, ottimismo, visione per il futuro. Il pendolo dell’attrattività è tornato a sud della Manica, e Londra digrigna i denti – si dotasse di un piano per la Brexit in realtà sarebbe meglio – mentre l’Assemblea nazionale ospita un ambasciatore dell’intesa cordiale, in missione personale: l’ex spindoctor blairiano Alastair Campbell. Che è andato a Parigi a dire: rimandate il tempo della punizione ancora un po’, dateci il tempo di cambiare idea sulla Brexit, non ci vorrà tanto, promesso.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi