Il governatore di Tokyo, Yuriko Koike

A Tokyo Shinzo Abe si è fatto fregare da una ex del suo stesso partito

Giulia Pompili

Il governatore Yuriko Koike, con il suo Tomin First No Kai (una specie di Tokyo First, sul modello dello slogan di Donald Trump) si prende l'Assemblea 

Roma. Per ora Yuriko Koike nega il suo interesse per la politica nazionale: “Voglio concentrarmi sul mio ruolo da governatore”, ha detto ieri. Eppure la sorprendente vittoria ottenuta all’Assemblea della città metropolitana di Tokyo grazie al suo partito, il Tomin First No Kai (una specie di Tokyo First, sul modello dello slogan di Donald Trump America First) aumenta le speculazioni su un suo possibile coinvolgimento nella politica nazionale – e chissà, sulla prima donna a capo del governo giapponese. Una cosa è certa: Yuriko Koike è il primo vero problema del governo di Shinzo Abe e del suo Partito liberal-democratico, saldamente al potere sin dal dicembre del 2012.

 

La metropoli di Tokyo, che funziona come una prefettura in Giappone, chiama al voto ogni quattro anni i suoi tredici milioni e mezzo di cittadini per eleggere un Parlamento formato da 127 rappresentanti, che svolge la funzione legislativa. Quella esecutiva è affidata invece al governatore – ruolo ricoperto dallo scorso agosto dalla Koike, appunto – il quale gestisce un budget annuale paragonabile a quello della Svezia. È per questo modello che le elezioni dell’Assemblea di Tokyo sono spesso considerate dai media nipponici un termometro di come le grandi città si preparano alle elezioni generali, che ci saranno a scadenza naturale tra un anno e mezzo. Nel frattempo, però, i numeri parlano chiaro: il Partito Tomin della Koike, alla sua prima prova elettorale, ha conquistato 49 poltrone. Il Partito liberal-democratico di Shinzo Abe, che nella passata legislatura aveva 57 seggi, è passato a 23 eletti. Ventitrè, come quelli del Komeito – il partito indipendente tradizionalmente legato al buddismo della Soka Gakkai, pacifista e antinuclearista, che nel Parlamento nazionale fa parte della coalizione di Shinzo Abe, ma all’Assemblea locale ha deciso di appoggiare il Tomin della Koike. In pratica la governatrice, grazie all’alleanza con il Komeito, adesso ha una maggioranza schiacciante di 79 seggi su 127. A rubare spazio al Partito liberal-democratico ci ha pensato anche il Partito comunista giapponese, che è passato da due a ben 19 seggi.

 

Durante una conferenza stampa al Kantei, ieri Shinzo Abe – la cui Amministrazione è da settimane travolta da una serie di scandali e gaffe – ha ammesso la sconfitta: “Dobbiamo prendere il risultato delle elezioni seriamente, la sconfitta è un rimprovero da parte dei cittadini nei confronti del Partito, e dobbiamo riflettere su di essa. Dobbiamo produrre risultati per riottenere la fiducia degli elettori”. I sondaggi sul gradimento del governo di Abe tradiscono un’insoddisfazione piuttosto diffusa, anche se non in discesa libera. Il fatto è che la Koike è una macchina attira-voti: non viene da una tradizione familiare politica, si è costruita la carriera da sola, e soprattutto è una donna, che ha impostato tutto il suo scontro politico sull’agevolare le donne lavoratrici e l’aumento dei posti negli asili nido. Ha fatto il ministro dell’Ambiente con Junichiro Koizumi, nel 2007 è stata ministro della Difesa nel primo governo Abe. Ma quando all’alba delle elezioni a governatore di Tokyo, lo scorso anno, il premier ha deciso di non candidarla, lei è andata dritta per la sua strada, e lo ha fatto da sola, costruendosi una piattaforma politica che l’ha portata ad avere la maggioranza assoluta. E certamente la sua vittoria è un segnale, ma secondo diversi osservatori non è detto che lo schema sia applicabile a livello nazionale. L’ex ministro della Difesa è piaciuta perché, pur non rappresentando una frattura radicale con i conservatori dell’Amministrazione Abe, incarna una figura politica innovativa. È la prima volta dopo molto tempo che un primo ministro riesce a governare così tanto a lungo, e Shinzo Abe in cinque anni ha letteralmente immobilizzato la politica nipponica. Il giudizio sul suo governo è stato segnato dal tema della riforma dell’Articolo 9 della Costituzione, tema da sempre controverso e che può aver influenzato l’opinione pubblica, e sulla grande scommessa dell’Abenomics, che dopo cinque anni stenta a decollare – due temi che possono aver avuto la loro parte nella scelta politica dei cittadini di Tokyo. Ma non è un cambiamento radicale: le posizioni della Koike non sono molto lontane da quelle del Partito liberal-democratico, anche lei fa parte della lobby conservatrice Nippon Kaigi come Abe, è stata accusata di aver lasciato la leadership del Partito Tomin troppo tardi, subito dopo la vittoria, e non è un buon modo per dimostrare “indipendenza” sull’amministrazione della metropoli. Con lei, Tokyo ospiterà le Olimpiadi del 2020, a meno che non decida, tra un anno e mezzo, di trasformare il suo Tokyo First in un Japan First.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.