Perché le intelligence straniere tengono d'occhio i tweet di Trump e che informazioni estraggono

Daniele Raineri

È come se il presidente americano si fosse infilato da solo in un acquario

Roma. Nada Bakos è una ex analista della Cia, l’intelligence americana, e durante gli anni della guerra in Iraq era una targeter, vale a dire che seguiva un soggetto in particolare – il target – e raccoglieva quante più informazioni su di lui (nordcoreani, terroristi). Il soggetto più noto tra quelli seguiti da Bakos è stato Abu Mussab al Zarqawi, il terrorista che ha fondato lo Stato islamico in Iraq, il gruppo estremista che poi è diventato lo Stato islamico. Per ragioni che sono facilmente intuibili, il lavoro di Bakos si svolgeva da lontano, senza entrare in contatto diretto con Zarqawi, e analizzando ogni video e ogni messaggio messo su internet. Questa settimana Bakos ha scritto un pezzo per il Washington Post per spiegare che le intelligence straniere stanno facendo lo stesso lavoro di analisi con i tweet scritti dal presidente Donald Trump, e che quei messaggi brevi – che ad alcuni sembrano un modo dirompente di fare politica e ad altri una violazione imperdonabile della gravitas richiesta a un presidente – sono una miniera d’informazioni per occhi bene allenati.

  

Le dichiarazioni molto forti di Trump in reazione alle notizie fanno pensare a una sua certa impulsività e mancanza di controllo. Gli analisti stranieri possono usare i tweet per costruire un profilo psicologico e suggerire come i governi possono ammansire o aizzare Trump, a seconda dell’effetto che desiderano. “Se io fossi una analista al lavoro per l’Arabia Saudita, per esempio – scrive Bakos – suggerirei a quel governo autoritario di fare pubblicare sui giornali articoli molto elogiativi su Trump e di adularlo anche di persona, magari facendo allestire nelle strade cartelloni pubblicitari con la sua immagine e le sue citazioni”, due cose che in effetti sono successe durante la visita del presidente americano a Riad a maggio.

 

Quando Trump scrive un tweet che contraddice o spiazza i suoi sottoposti oppure una linea politica già stabilita, rivela a costo zero dove corrono le crepe dentro l’Amministrazione. E questo è un caso semplice. Tuttavia, anche quello che Trump non twitta può essere rivelatorio. Per esempio, l’intervallo di tempo trascorso tra la collisione disastrosa della nave da guerra americana Uss Fitzgerald con una nave mercantile al largo del Giappone, alle 12,30 del 16 giugno a Washington, e quando Trump ha twittato a proposito dell’incidente, alle 10,08 del giorno seguente, è stato di quasi 23 ore. Di solito un presidente reagisce in modo più rapido alle perdite militari (otto marinai in quel caso, il più grave dall’attacco alla Uss Cole alla fonda davanti allo Yemen nel 2000). Gli analisti possono fare ipotesi di lavoro a partire da quel ritardo. Trump è così isolato da queste questioni che ha aspettato che parlasse il suo segretario alla Difesa? Qualcos’altro aveva catturato la sua attenzione? Tra la collisione e il tweet, Trump ha twittato a proposito di Cuba e di una trasmissione della Fox che prometteva rivelazioni sugli alleati del “Deep State” nei media (il Deep State nelle nazioni del medio oriente è l’insieme bene occultato dei poteri dei servizi segreti e dei militari, che detiene il vero potere dietro alla facciata della politica: i fan di Trump hanno adottato la stessa definizione per usarla contro i detrattori).

 

Gli analisti possono studiare in diretta come pensa Trump, perché si arrabbia, quali sono le sue priorità, quando agisce perché è coinvolto personalmente e quando agisce perché è costretto dal suo ruolo. Bakos scrive che è possibile tenere d’occhio le ore di sonno, i livelli di stress, i programmi tv che guarda e gli articoli di giornale che legge. È come se il presidente americano si fosse infilato da solo in un acquario. È quindi ovvio che se un governo straniero vuole influenzare la percezione del mondo di Trump, sa esattamente da quale emittente e da quale giornale partire. Se invece vuole negoziare, può esaminare i tweet alla ricerca di punti deboli, contraddizioni, incertezze, argomenti che fanno perdere la lucidità. Inoltre, possono confrontare i tweet con l’agenda ufficiale del presidente e fare uno schema molto preciso delle sue abitudini, cos’altro stava facendo mentre twittava, dove, quando prende le decisioni. Senza considerare che gli analisti di solito non hanno soltanto i tweet, hanno anche intercettazioni, informatori, tutto un repertorio di informazioni collaterali da confrontare con i tweet per farsi un’idea più precisa. Che poi è il motivo per cui, probabilmente, al Zarqawi non twittava.

Di più su questi argomenti:
  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)