“Ucciderli tutti”

Daniele Raineri

L’inviato speciale americano per la guerra allo Stato islamico spiega la strategia contro i foreign fighters

Troppo impegnati a rimuginare sul crepuscolo dell’occidente, il suicidio dell’Europa e la debolezza di fronte all’islam, forse ci siamo persi le parole di Brett McGurk, inviato speciale degli Stati Uniti per la lotta allo Stato islamico: “La nostra missione è fare in modo con certezza che tutti i foreign fighters dello Stato islamico muoiano a Raqqa”. McGurk è uno dei pochissimi funzionari americani a essere sopravvissuti al passaggio dall’Amministrazione Obama a quella Trump perché gli è riconosciuta molta competenza, acquisita sul campo negli ultimi dodici anni passati in Iraq (fu nominato nel 2004, ai tempi di Bush jr).

 

Due giorni fa era a nord di Raqqa per vedere da vicino come vanno le operazioni sponsorizzate da Washington (a partire dal 2015) per liberare la città – e già questa cosa che i funzionari e i generali americani circolino nel nord-est della Siria è significativa, anche se poco raccontata. Ecco lo scambio completo con l’inviata di una tv degli Emirati Arabi Uniti che l’ha incontrato nella zona: “Credete ci siano ancora leader importanti (detti: high value target, bersagli preziosi) a Raqqa?”. “Pensiamo ci sia un numero significativo di foreign fighters dentro la città. E continuiamo a scovare e a prendere persone high value, specialmente a Tabqa, che è stata liberata di recente. Difficile a dirsi. Penso che molta della leadership probabilmente è già fuggita da Raqqa. Ma se parliamo di foreign fighters irriducibili, pronti a difendere la città e pronti a morire, sappiamo che sono concentrati a Raqqa. La nostra missione è fare in modo con certezza che non riescano a fuggire. La nostra missione è fare in modo con certezza che tutti i foreign fighters che sono qui, che sono arrivati da fuori per arruolarsi nello Stato islamico, che sono venuti in Siria, muoiano qui in Siria. Questa è la missione. Così, se sono a Raqqa moriranno a Raqqa. Per i siriani che sono stati cooptati nello Stato islamico e si vogliono arrendere, be’, la settimana scorsa il consiglio locale di Raqqa ha perdonato ottanta di loro che avevano combattuto con lo Stato islamico, i siriani possono sbrogliarsi la questione da loro. Ma per quel che riguarda i foreign fighters, vogliamo essere sicuri di eliminarli tutti”.

 

Le parole di McGurk colpiscono questa volta perché sono esplicite, ma da tempo si è capito che questa è la linea adottata durante le operazioni per liberare le città dallo Stato islamico: i leader non sono disposti a negoziare proprio perché così impone la loro impostazione ideologica e religiosa, i foreign fighters sono un pericolo grave perché ce ne sono migliaia (cinquemila circa sono europei) e potrebbero tentare di tornare in occidente. Quindi non ci sono in programma una tregua, un compromesso e un tavolo di pace: si va avanti per attrito, come dicono i militari – con l’appoggio sul campo della coalizione occidentale fino a quando lo Stato islamico è così debole che le forze locali possono di nuovo occuparsene senza problemi. Oltre al motivo pratico – ovvero: molti di quelli che non s’arrendono preferiscono morire – c’è anche il messaggio per i simpatizzanti: creare uno Stato islamico che vuole sottomettere il resto del mondo è materialmente impossibile, è una fantasia che finirà in modo orribile. L’esercito iracheno che ieri ha ripreso il controllo delle macerie della moschea al Nuri, da dove nel luglio 2014 Abu Bakr al Baghdadi fece il suo unico discorso a volto scoperto, dovrebbe risultare l’argomento più convincente – più di mille fiacchi programmi di “deradicalizzazione”. E infatti il numero dei foreign fighters è crollato. La guerra non è finita, c’è ancora molto territorio da riprendere e ci saranno contrattacchi e attentati perché lo Stato islamico ha avuto anni a disposizione per ideologizzare molte persone, ma questa è la direzione.

Di più su questi argomenti:
  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)