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Migranti, riparte la battaglia delle quote. L'Europa minaccia i paesi dell'est

Luca Gambardella

Avviata la procedura d'infrazione nei confronti di Ungheria, Repubblica Ceca e Polonia. Intanto il governo di Orban approva la legge “anti-Soros” 

Il Parlamento ungherese ha approvato la controversa legge con cui si penalizzano le ong finanziate da fondazioni straniere. Budapest sfida così apertamente l'Unione europea, che contesta da tempo il provvedimento, giudicato anti-democratico. La legge approvata oggi, seppure con qualche aggiustamento rispetto alla versione originale, prevede la creazione di un registro speciale a cui dovranno iscriversi tutte le ong finanziate da enti stranieri che ricevono dall'estero oltre 24 mila euro all'anno. Quelle inserite nel database riceveranno d'ora in poi il marchio di entità "straniere", che dovrà essere presente sui loro siti internet e su tutte le loro pubblicazioni. Secondo il governo guidato dall'euroscettico Viktor Orban, la legge si è resa necessaria perché queste ong "mettono in pericolo l'ordine e gli interessi economici nazionali – ha detto Gergali Gulyas, membro di Fidesz, il partito al governo – oltre al funzionamento delle istituzioni".

 

Nonostante le proteste che hanno portato migliaia di persone per le strade di Budapest e del resto del paese, il governo ungherese ha deciso di colpire in particolare l'Università dell'Europa centrale, finanziata dal magnate di origini ungheresi George Soros (qui c'è un ritratto dettagliato di chi è e cosa fa il fondatore della Open Society). Anche se la legge non fa esplicito riferimento al guru della finanza mondiale il provvedimento penalizza in particolare la sua università, considerata da anni una delle migliori d'Europa. Da mesi, i membri del partito nazionalista Fidesz ripetono che Soros e le organizzazioni a lui riconducibili siano una minaccia e che per questo devono essere allontanate dal paese. Orban accusa Soros soprattutto di sostenere, tramite le sue ong, una politica dell'accoglienza dei migranti che è invece fortemente contestata dal governo.

 

Proprio oggi, l'Unione europea ha avviato una procedura di infrazione nei confronti di Ungheria, Repubblica Ceca e Polonia per il loro continuo rifiuto ad accettare l'accoglienza delle rispettive quote dei migranti, come previsto dagli accordi sottoscritti nel 2015. La misura annunciata oggi dalla Commissione europea è molto grave (ed è probabile che porterà a una lunga diatriba legale) soprattutto perché sancisce una spaccatura quasi definitiva tra il blocco dei paesi di Visegraad – quelli dell'est Europa, che seguono un'agenda politica nazionalista ed euroscettica – e quelli dell'Europa meridionale – tra cui l'Italia, e che sono i più colpiti dall'afflusso di migranti.

 

A maggio, il Parlamento europeo aveva approvato una risoluzione in cui si affermava che "l'Ungheria mette in pericolo" lo stato di diritto in Europa e chiedeva di azionare nei confronti di Budapest l'articolo 7 del Trattato dell'Ue. Il provvedimento richiesto dall'Europarlamento potrebbe condurre a una delle contromisure più forti tra quelle che le istituzioni europee possono intraprendere nei confronti di quegli stati membri che non rispettano gli impegni, cioè la sospensione dal diritto di voto al Consiglio Ue. Una punizione che per essere avviata richiede però l'unanimità degli altri stati e che, considerata l'alleanza stretta da Budapest con Varsavia, difficilmente sarà applicabile nella pratica.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.