Il presidente brasiliano Michel Temer (foto LaPresse)

Temer resta in carica ma il Brasile è in crisi dopo l'assoluzione del presidente

Maurizio Stefanini

"È possibile che Temer riesca a mantenersi al potere, ma la pressione su di lui è destinata ad aumentare, con nuove denunce e investigazioni che lo manterranno alle corde”. Parla il sociologo José Mauricio Domingues

Dopo un voto da cardiopalma, con il parere di 4 giudici contro 3, venerdì sera il Tribunale Superiore Elettorale brasiliano ha assolto il presidente Michel Temer dall’accusa di abuso di potere politico e economico durante la campagna elettorale del 2014, quando corse come candidato alla vicepresidenza di Dilma Rousseff. Temer resta dunque in carica. Le accuse di aver ricevuto finanziamenti illegali dalla Odebrecht erano pesanti, ma nel dare il suo voto decisivo il presidente del tribunale Gilmar Mendes ha detto: “Dobbiamo fare molta attenzione con le istituzioni”.

Un chiaro riferimento alla ripresa economica appena iniziata, e che in caso di destituzione era gravemente a rischio. Non è però finita. Da una parte il Partito della Socialdemocrazia Brasiliana, principale partner di governo del Partito del Movimento Democratico Brasiliano di Temer, minaccia di rompere l’alleanza. Dall’altra il procuratore generale Rodrigo Janot starebbe per chiedere alla Camera di sospendere Temer, in modo da poterlo processare per ostruzione alla giustizia. Della situazione il Foglio ha parlato con il sociologo José Mauricio Domingues: docente all’Università Statale di Rio de Janeiro, ricercatore presso il Centro di Studi Strategici di Fiocruz, autore del volume “O Brasil entre o presente e o futuro. Conjuntura interna e inserção internacional” e tra i più autorevoli politologi del Paese.

  

“Nel paese c’è una grande delusione per questa decisione, anche se i suoi effetti immediati sono limitati, dal momento che sono in corso altri procedimenti. È possibile che Temer riesca a mantenersi al potere, ma la pressione su di lui è destinata ad aumentare, con nuove denunce e investigazioni che lo manterranno alle corde”.

   

Secondo la narrazione che ha fatto la sinistra brasiliana, l’operazione “Lava Jato” è stato un complotto della stampa legata ai grandi interessi, in particolare “O Globo”, per destabilizzare i governi a guida Pt, colpevoli di voler combattere le grandi disuguaglianze del paese ridimensionando i privilegi dei ricchi. Però è stato proprio “O Globo” ora a tirar fuori lo scandalo dei fratelli  Joesley e Wesley Batista, con quella registrazione che ha messo Temer nei guai. D’altra parte, la Lava Jato ha mandato in galera anche l’ex-presidente della Camera Eduardo Cunha, pur con tutto il ruolo che aveva avuto per portare alla destituzione di Dilma Rousseff.

“Il pubblico ministero in particolare, ma tutti i settori del giudiziario in generale, hanno il progetto di attaccare la corruzione sistemica del potere politico. Hanno colpito per primo il Pt perché stava al potere, ma la loro meta è molto più ampia. “O Globo” per conto suo vuole liberarsi di Temer perché dopo le ultime rivelazioni ha deciso che è diventato a sua volta un problema, e non la sua soluzione”.

La narrazione della destra brasiliana, invece, è quella di un modello petista di corruzione che doveva essere tolto di mezzo per far ripartire il Paese. Ma la corruzione, a quanto pare, continua.

“Come ho già ricordato, la corruzione è sistemica. Il Pt ha sofisticato e centralizzato la maniera in cui è fatta, ma essa esiste da sempre nel sistema politico brasiliano”.

  

Ma è vero che Temer è finito sotto accusa proprio nel momento in cui stava iniziando a rimettere a posto il paese, tirandolo fuori da una lunga recessione? In particolare: è vero che è lui che sta finalmente iniziando a fare le riforme per far uscire il sistema produttivo da quel complesso da lacci e lacciuoli che molti economisti definiscono “Custo Brasil”? Ma esiste davvero poi questo “Custo Brasil”?

“L’economia a un certo punto ha già iniziato a riprendersi. Quanto all’idea di questo Costo Brasile, secondo me è falsa, se si pensa in termini di costo del lavoro o di troppe imposte. I nostri problemi sono piuttosto in termini di mancanza di produttività e di bassa tecnologia”.

  

Ma Lula ha davvero la possibilità di tornare a essere presidente del Brasile? E Marina Silva?

“Effettivamente Lula ha ancora delle possibilità, ma secondo me non troppe, perché il suo tetto elettorale è basso. Marina ha fragilità personali, ma sfonda al centro. Se riesce davvero a allearsi con Joaquim Barbosa (Ndr: il nero popolarissimo ex-presidente del Supremo Tribunale Federale) effettivamente ha grandi possibilità come candidata a presidente o a vicepresidente”.

 

È vero che il giudice di Lava Jato Sérgio Moro si è ispirato al modello italiano di Mani Pulite?

“In parte sì. Ci ha scritto pure un articolo su questo”.

 

Ma Moro ha ambizioni politiche? È possibile una sua discesa in campo stile Di Pietro?

“Non credo che abbia ambizioni politiche, ma niente gli impedirebbe di coltivarle quando finirà l’operazione Lava Jato”.

In Italia c’è oggi una sempre più vasta percezione secondo cui Mani Pulite ha distrutto un sistema di partiti che pur coinvolti in un ampio schema di corruzione avevano ideologie strutturate e una storia antica e gloriosa, senza che la corruzione in realtà sia sparita. Si dice che prima i politici rubavano per il partito, ma ora rubano per sé. Il Brasile non corre lo stesso rischio?

“In Italia in quel momento non sembrava che ci fossero altre forze in grado di rinnovare il sistema politico. Il Pci, che avrebbe potuto farlo, stava in un momento di autodissoluzione. La sinistra in Brasile, e il Pt in particolare, è molto fragile, ma ha forze sociali più vive, più energia, che possono continuare a dare impulso a un processo di democratizzazione di cui l’operazione Lava Jato e, più genericamente, la lotta alla corruzione sono appena un aspetto”.

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