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Make Britain flop again

Paola Peduzzi

May fa come se nulla fosse accaduto, si allea con gli arancioni dell’Ulster e si rimette al lavoro sulla Brexit

Milano. Come se nulla fosse accaduto, questo è il messaggio del premier britannico, Theresa May, dopo il voto di giovedì in cui il suo Partito conservatore ha perso la maggioranza assoluta in Parlamento. Presentandosi davanti alla porta di Downing Street e alle telecamere dopo la notte elettorale “catastrofica” (il copyright si può attribuire allo Spectator, magazine conservatore fan della May e quindi delusissimo), la May non ha citato i numeri umilianti, non ha commentato l’errore clamoroso di aver chiesto un voto rapido e anticipato per rafforzarsi ritrovandosi invece molto debole, ma ha soltanto detto: si va avanti, la maggioranza ai Comuni si trova con un’alleanza svelta e non codificata con gli unionisti dell’Irlanda del nord, il non moderato Dup (Democratic unionist party), e si formerà un nuovo governo “che dia guida e certezza al paese in questi tempi così critici”. Per chi si aspettava almeno qualche spiegazione – se non un pochino di umiltà – il colpo fatale è arrivato alla fine di tutto, dopo che la May ha assicurato che si proverà a trovare un accordo per una Brexit di successo che garantisca prosperità, dopo che ha detto “questo è quel che vuole il popolo questo è quel che gli daremo”, quando ha asserito perentoria: “Ora andiamo a lavorare”. Se già le poche simpatie per la May sono collassate con il risultato della notte, immaginate i commenti dopo questo finale da “non perdetevi in domande, tanto non rispondo”, che aumenta le perplessità (eufemismo) sullo stile della sua leadership.

  

Come se nulla fosse accaduto, però, si va avanti, anche se la scommessa elettorale di aumentare la maggioranza è stata perduta e anche se il Labour di Jeremy Corbyn, con il suo 40 e più per cento galvanizzato dall’euforia del voto giovanile può rivendersi come il vincitore vero della tornata.

   

La resa dei conti può aspettare, dice la May, anche se i commentatori sostengono che arriverà presto, perché questo voto non è stato vinto dal Labour, checché se ne dica, ma è stato perso dai Tory, anzi dalla stessa May che ha fatto una campagna elettorale brutta e che non ha mantenuto la promessa di essere “forte e stabile”, aumentando il senso di incertezza fuori e dentro il Regno. I Tory affilano i coltelli, ma un’alternativa valida alla May forse non ce l’hanno, mentre tutti gli interrogativi riguardano il futuro del negoziato sulla Brexit: sarà un po’ meno “hard” la soluzione proposta da Londra, dopo il segnale di discontento nelle urne? Difficile rispondere, la maggior parte degli esperti giura di sì, ma i segnali non sono chiari. Il nazionalismo ha perso, sia nel disfacimento dell’Ukip – andato malissimo, il leader si è dimesso: i suoi voti sono andati più al Labour che ai Tory, contrariamente a quanto si augurava la May – sia nella batosta presa dai nazionalisti scozzesi di Nicola Sturgeon, che hanno perso 19 seggi, probabilmente per l’accanimento per un nuovo referendum indipendentista. La Sturgeon era anche però il baluardo anti Brexit più forte, assieme ai Lib-Dem, che hanno guadagnato tre seggi (in tutto ora ne hanno 12), perdendo però una delle voci più ascoltate e anche seguite contro la Brexit, quella dell’ex leader Nick Clegg. Non un grande urlo anti Brexit insomma, ancor più che il ruolo di “kingmaker” è stato scippato ai Lib-Dem dai nordirlandesi del Dup che sono pro Brexit. Certo, poi c’è il Labour, che con i suoi 31 seggi in più e uno swing di voti a proprio favore può introdurre un elemento di morbidezza in più nella gestione della Brexit. Ma quando si parla di “soft” riferendosi all’uscita dall’Ue non si sa bene a che cosa si faccia riferimento: i laburisti non vogliono l’uscita dal mercato unico europeo ma allo stesso tempo vogliono controllare la circolazione delle persone, l’immigrazione – e tutto gli europei non lo vogliono concedere.

   

Si va avanti, quindi, la Brexit si farà, ma il potere negoziale londinese non è certo cresciuto, anzi, e la sterlina è molto più nervosa a dimostrazione del fatto che qualcosa cambia sempre quando si tradiscono le aspettative e si promette certezza senza saperla garantire.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi