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Pensieri e parole di Seumas Milne, lo spin doctor di Corbyn

Stefano Basilico

I punti forti dell'uomo che vuole imporsi come ideologo della “nuova sinistra” sono il suo passato nel giornalismo, la sua rapidità di pensiero e la sua capacità di catturare l’essenza di Corbyn quando ne scrive i discorsi

York. Seumas Milne è il “direttore esecutivo della strategia e della comunicazione” del Labour inglese, il braccio destro di Jeremy Corbyn. Rappresenta per il rivale di Theresa May quello che Alastair Campbell fu per Tony Blair, ma i due non possono essere più agli antipodi. Figlio dell’ex direttore generale della Bbc Alasdair Milne, licenziato durante il governo Thatcher nel 1987, studiò per merito nei prestigiosi Winchester e Balliol College di Oxford. Lo spin doctor corbynista inizia la sua carriera nel giornalismo: esordisce nel mensile di ultrasinistra Straight Left, passa per un breve periodo all’Economist e approda infine al Guardian, dove rimane per trentuno anni. E’ sposato con una pubblicitaria italiana, Cristina Montanari. Nel 2015 viene ingaggiato da Corbyn, così Milne risulta uno dei membri più longevi dello staff del leader socialista, caratterizzato come il governo ombra da numerose cacciate. L’esilio del direttore della campagna Simon Fletcher ha ampliato il potere di Milne. I deputati laburisti si sono spesso ribellati alla nuova dirigenza, che ha deciso di adoperare il bastone e la carota. Lo spin doctor, nonostante la sua indole quieta, è il bastone: si è lamentato dei continui leaks fatti dai nemici interni per imbarazzare il leader. I frondisti lo hanno a loro volta accusato di sabotaggio durante la campagna per il Remain.

 

I punti forti dello spin doctor che vuole imporsi come ideologo della “nuova sinistra” sono il suo passato nel giornalismo, la sua rapidità di pensiero e la sua capacità di catturare l’essenza di Corbyn quando ne scrive i discorsi. Un collega disse di lui che “è quasi sempre la persona meglio informata all’interno di una stanza”. Altri dicono che “pensi a tutto in maniera politica”, e aggiungono: “E’ un attivista che si è trovato a fare il giornalista”. Anche grazie a queste doti il Labour si è avvicinato nei sondaggi ai Tory, dopo mesi di abissale distacco. Con il leader Milne condivide l’intransigenza e la granitica coerenza ideologica: da editorialista del Guardian, Milne affermò che l’omicidio del fuciliere Lee Rigby non fu “terrorismo nella normale accezione di un attacco indiscriminato verso i civili”, poiché la vittima era stata in missione all’estero. Due giorni dopo l’undici settembre scrisse un editoriale intitolato “Non riescono a vedere perché sono odiati”, attribuendo alla politica estera americana la causa degli attentati. Stessa reazione quando al Qaida colpì Londra il sette luglio 2005. Poi c’è la questione dell’antisemitismo: nel novembre 2012, a operazione “Pilastro di Difesa” israeliana in corso, spiegò che responsabile della violenza era Israele, per l’uccisione di un comandante di Hamas, e che fossero i palestinesi ad avere diritto di difendersi. Due anni dopo, nel corso di un comizio ribadì che “il terrorismo è l’uccisione di civili su scala industriale da parte di Israele”. Durante le proteste in Venezuela del 2014, Milne sostenne che i manifestanti, secondo lui fomentati dall’occidente, fossero “difensori dei privilegi”. Che Chavez fosse un dittatore era una “bufala orwelliana” dell’opposizione. L’espansionismo militare in Ucraina? Non è quello russo culminato con l’annessione della Crimea, ma è responsabilità della Nato, scrisse a marzo 2015, quando già lavorava per Corbyn. Nelle riunioni di redazione del Guardian volarono parole di fuoco dopo che Milne intervistò Putin al forum di Valdai. Luke Harding, ex corrispondente a Mosca, disse che partecipare all’incontro significava essere “una marionetta nel teatro del Cremlino”.

 

La sua linea ideologica pare quella dominante nel cerchio magico laburista, dove siedono anche il PR Steve Howell e il policy director Andrew Fisher. A coordinare tutti c’è la chief of staff Karie Murphy, pedina del sindacato Unite, a prova della notevole contingenza con le organizzazioni dei lavoratori.