Donald Trump (foto LaPresse)

Appunti per un'Europa coesa, al tempo dell'isolazionismo americano

Gianni Castellaneta

Dalla denuncia dell'Accordo di Parigi da parte di Trump al rilancio di una Difesa comune in Ue. Come ridefinire le relazioni con Washington

Gli eventi degli ultimi giorni hanno messo a nudo fin troppo bene la politica di rottura e isolazionista della Casa Bianca. La clamorosa denuncia dell'Accordo di Parigi sul cambiamento climatico rischia però di far dimenticare le numerose questioni altrettanto importanti ancora aperte sul fronte interno e su quello internazionale, e che hanno bisogno della partecipazione attiva degli Stati Uniti per essere risolte.

 

La mossa di Trump ha del resto avuto l'effetto di distogliere l’attenzione mediatica dalle questioni interne che vedono i media bersagliare i suoi più stretti collaboratori. Negli ultimi giorni dalle headlines sono infatti scomparsi gli attacchi al genero Kushner per i suoi rapporti ambigui con la Russia, il licenziamento del capo dell'Fbi, James Comey, l'inchiesta sul suo ex consigliere per la sicurezza Flynn, nonché le difficoltà di procedere alle nomine dei responsabili dei vari dicasteri e di molti ambasciatori che fanno parte dello spoil system di ogni cambio di presidente, coinvolgendo circa quattromila posizioni. Per non parlare delle difficoltà per la definitiva cancellazione dell’“Obamacare” e di molti altri problemi di carattere essenzialmente interno.

 

Rimane invece prioritaria la gestione delle questioni internazionali che rischiano di aggravare ulteriormente l’unilateralismo dell’Amministrazione Trump in politica estera, con effetti potenzialmente negativi anche sull’Italia. Stiamo ancora metabolizzando il sostanziale fallimento sul piano dei contenuti del G7 di Taormina, che ha rivelato l’urgenza di interrogarci seriamente sul  nostro ruolo globale. Se non vogliamo ridurci a una sorta di “Disneyland” per turisti stranieri, grazie al clima, alle bellezze naturali, al cibo, al patrimonio culturale, alla predisposizione per l'accoglienza (ovvero i motivi che hanno decretato il grande successo organizzativo del summit in Sicilia), dovremmo cominciare a ragionare sugli effetti di questa presidenza Trump, meno imprevedibile di quanto si possa immaginare e anzi estesamente annunciata nella sua lunga campagna elettorale.

 

Dalla ridefinizione del nostro rapporto con gli Stati Uniti passa l’assunzione di un ruolo di primo piano, oppure da comparsa, su alcune importanti questioni che ci riguardano da vicino. A livello economico, il primo nodo da sciogliere è senza dubbio quello legato al futuro del TTIP, l’accordo transatlantico per il libero scambio e gli investimenti che non è stato ancora dichiarato ufficialmente “defunto”. In virtù del nostro formidabile surplus commerciale con gli Stati Uniti (circa 20 miliardi di euro) dovremmo essere tra i primi a pretendere chiarezza da Washington sulle intenzioni nel voler proseguire o meno sulla strada del negoziato. C’è poi il tema della Difesa comune europea: in questo caso, una  reazione organica e matura alla richiesta di Trump di “fare di più” in rapporto al budget Nato consisterebbe nell’adozione di un vero progetto europeo in campo militare. Questo sarebbe utile all’Ue non solo per equipaggiarsi a “fare da sé” qualora gli americani venissero meno al loro ruolo di “poliziotto globale”, ma anche per gestire con un approccio unitario i fenomeni del terrorismo e delle migrazioni, che rappresentano la vera sfida alla tenuta del nostro progetto di integrazione. La lotta al terrorismo sembra attualmente l’unico “collante” rimasto tra le due sponde dell’Atlantico, ma per dare seguito alla dichiarazione firmata a Taormina servirà costruire una nuova fiducia reciproca che porti ad una maggiore condivisione di informazioni. Un’Europa con una sola voce in campo difensivo consentirebbe all’Italia di avere un ruolo di indirizzo strategico negli scenari a noi più vicini e di agire per la stabilizzazione del Mediterraneo, dei Balcani, del medio oriente, nonché di rapportarci con un atteggiamento più assertivo nei confronti di Cina e Russia, potenze sempre più emergenti e che non attendono altro che poter beneficiare del vuoto di potere che l’America di Trump sembra intenzionata a lasciare.

 

Trump non nasconde di essere aperto alla collaborazione internazionale solo nell'interesse primario dei propri elettori: non a caso nei giorni scorsi ha dichiarato che deve rispondere ai contribuenti di Pittsburgh e non a quelli di Parigi. Si tratta di un ritiro dalla leadership internazionale che durava da un secolo e al quale non eravamo ancora preparati, ma che richiede una rapidità di risposta eccezionale da parte di noi europei. La Germania ha subito compreso questa esigenza e non a caso la Cancelliera Merkel ne sta facendo il fulcro della propria campagna elettorale. Se da un lato è positivo che la Germania sembri finalmente disposta ad assumersi anche una leadership politica oltre che economica, dall’altro è evidente che tale volontà deve essere bilanciata da contrappesi rappresentati dagli altri Stati, Italia e Francia in primis. La Germania non avrebbe ad oggi nemmeno la forza per poter affrontare da sola le grandi sfide internazionali dei prossimi anni, dal rapporto con gli Stati Uniti al negoziato per la Brexit né sarebbe politicamente opportuno fornirgliela in chiave europea. Tutti i grandi paesi dell'Europa continentale devono invece agire insieme, senza gerarchie predeterminate, con un fronte più compatto e consapevole, per contrastare un “G3” che si sta delineando nei fatti tra Cina, Russia e Stati Uniti ma che non è nell’interesse dell’Europa. Né tantomeno lo è dell’Italia, anche se potremmo dire di avere un “G1” dietro le mura vaticane, rappresentato dalla diplomazia attiva e intraprendente di Papa Francesco.

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