La lotta agli "spazi liberi" del terrorismo islamico secondo Theresa May

Stefano Basilico

Per il premier inglese non bastano gli strumenti dell’antiterrorismo, occorre reprimere la radicalizzazione sia online sia nel Regno Unito e in medioriente. 

“Enough is enough”. Quando è troppo è troppo, ha tuonato Theresa May all’indomani dell’attentato terroristico di matrice islamista che ha colpito il London Bridge e il vicino Borough Market. Parole che scalderebbero i cuori freddi di un’Europa prostrata dal terrorismo, se solo non le avessimo sentite ripetere come ritornello a ogni strage.

 

May ha parlato a Downing Street, dopo il meeting del COBR, il Cabinet Office Meeting Room nell’unità di emergenza di Whitehall.

Uscita dal bunker, May ha detto quanto ormai sapevamo già da tempo, nel Regno Unito dal 22 maggio 2013 con l’omicidio islamista del fuciliere Lee Rigby a Woolwich: “Il terrorismo genera terrorismo e i responsabili sono ispirati ad attaccare non solo sulle basi di piani costruiti attentamente dopo anni di progettazione e addestramento, e nemmeno solo come lupi solitari radicalizzati online, ma imitandosi l’un l’altro e spesso usando i metodi di attacco più primitivi”.

 

Il primo ministro ha parlato di “ideologia dell’estremismo islamista” che “predica odio, fomentando divisioni e settarianismo” e che è “una perversione dell’Islam e della verità”.

 

Non basteranno gli strumenti dell’antiterrorismo, a ogni livello, ma occorre secondo May reprimere la radicalizzazione negli “spazi liberi” che gli estremisti strumentalizzano per i propri scopi. Qui una prima soluzione, potente, complessa e contestata, di cui i conservatori avevano già parlato in passato, con una “regolamentazione del cyber spazio”. Cameron propose le prime restrizioni su Blackberry Messenger già all’indomani delle rivolte di Londra dell’estate 2011. Secondo May le grandi aziende della Silicon Valley non stanno facendo abbastanza per controllare e sopprimere l’odio che si propaga online. Secondo l’opposizione è un’intollerabile limitazione della libertà.

 

Il secondo “spazio libero” che Downing Street vorrebbe eliminare è quello fisico, nelle regioni in cui si è stabilito lo Stato Islamico. Il Regno Unito partecipa già alle operazioni della coalizione anti-Isis ma le parole di May potrebbero lasciare intendere un coinvolgimento maggiore nel pantano siriano, che sarebbero in netta contraddizione col suo “Discorso di Philadelphia”. Durante la sua visita a Donald Trump, partecipando a un convegno dei repubblicani in Pennsylvania, la leader conservatrice dichiarò la necessità di abbandonare l’esportazione della democrazia per via militare. Il problema più complesso, però May ce l’ha in casa e ne è ben consapevole. Pare avere meno certezze, come del resto gli altri leader europei, su come affrontarlo. Nel suo discorso parla della necessità di “diventare più robusti nell’identificarlo (l’estremismo) e nel metterlo in evidenza” un processo che “richiederà conversazioni difficili e spesso imbarazzanti”.

 

Il quarto punto che evidenzia May è quello su cui è personalmente più fragile. Dal momento che “la natura della minaccia” è diventata “più complessa, frammentata, nascosta soprattutto online” occorre “aggiornare la strategia” di contrasto alla stessa. Propone “una revisione della strategia anti-terrorismo britannica, per fare in modo che la polizia e i servizi di sicurezza abbiano tutti i poteri di cui hanno bisogno”. Un discorso sensato, se non provenisse da chi è stata ministro degli interni per un quinquennio e premier dal giugno scorso. Durante la sua esperienza agli Home Affairs ci sono stati pochi attentati: l’accoltellamento mortale di Mohammed Saleem da parte del bombarolo ucraino di estrema destra Pavlo Lapshyn a Birmingham; l’uccisione di Lee Rigby, l’attacco nella stazione di Leytonstone e l’omicidio di Jo Cox, per un totale di tre vittime. Negli ultimi tre mesi si sono verificate tre stragi: quella di Westminster, il kamikaze alla Manchester Arena e la più recente, una scia di sangue di trentasei persone. Divergenze di idee, chiamate alla trasparenza, una diminuzione degli agenti e dei fondi alla polizia hanno aperto una frattura tra le forze dell’ordine e Theresa May fin dalle rivolte di Londra, quando i responsabili della Metropolitan Police e il governo giocarono allo scaricabarile.

 

Dopo gli attentati del 7 luglio 2005, i primi di stampo jihadista in terra britannica, Tony Blair parlò anche lui di “perversione” e di “ideologia malvagia”. “E’ una battaglia che dev’essere vinta” disse ”una battaglia non solo contro i metodi dei terroristi, ma contro le loro visioni; non solo contro i loro atti barbarici, ma contro le loro idee; non solo contro quello che fanno, ma anche contro quello che pensano e che vorrebbero imporre agli altri.“ Sono passati dodici anni da quel discorso. La battaglia è lontana dall’essere vinta.

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