Margaret Court (foto LaPresse)

Gli sportivi non sono più atleti, ma idoli del culto politicamente corretto

Giulio Meotti

Gli stadi sono diventati nuovi campi di rieducazione maoisti, il gioco è ridotto a una bandiera di probità morale. Così la grande tennista Court finisce alla gogna sul matrimonio gay

Roma. È la trasformazione dello sport da gioco in “safe space”, dal nome di quei comici spazi politicamente corretti che impazzano nelle migliori università d’America. Come se la funzione dello sport fosse diventata quella di essere una bandiera di probità morale. Ma se lo sport diventa un banale esercizio etico, i rappresentanti del mondo dello sport devono incarnare tutti i valori ufficiali della società benpensante. Così, quando qualcuno si comporta in modo discutibile, c’è totale indignazione, perché tutto nello sport deve essere modello di purezza e di equilibrio morale. Gli appassionati, gli sportivi e i burocrati dello sport non sono più esseri umani che commettono errori, ma idoli di un culto.

 

Quando Jason Collins divenne il primo giocatore dell’Nba a essersi dichiarato gay con un articolo su Sports Illustrated e venne elogiato dal presidente Barack Obama (“il Presidente ha chiamato Jason Collins per esprimergli il proprio sostegno e per dirgli di essere rimasto colpito dal suo coraggio”, disse un portavoce della Casa Bianca), lo scrittore Bret Easton Ellis, gay irriverente, scrisse: “Sono l’unico gay ad aver provato un tantino di fastidio per il modo in cui i media hanno trattato Jason Collins come se fosse un cucciolo di panda bisognoso di essere onorato, festeggiato, consolato e trattato come un minorato?”, scrisse Ellis, parlando di “Regno dell’Uomo Gay come se fosse un Elfo magico, che ogni volta che esce fuori ci appare come un Extraterrestre santo, il cui solo scopo è di ricordarci la Tolleranza, i nostri Pregiudizi e di Sentirci bene con noi stessi”. Ellis parlò di “fascismo gay”. Adesso a farne le spese è la più grande tennista di tutti i tempi, Margaret Court, che ha scatenato una bufera nel mondo dello sport per aver esternato idee controcorrente sul matrimonio. La campionessa 74enne, che ancora oggi detiene il record assoluto di vittorie nei tornei dello Slam (24 titoli contro i 23 di Serena Williams) aveva annunciato di credere “nel matrimonio come unione tra un uomo e una donna”, aggiungendo che “il tennis oggi è pieno di lesbiche”.

 

Quasi immediatamente sono partiti appelli a Melbourne a cambiare il nome della Margaret Court Arena. Peter FitzSimons ha chiesto sul Sydney Morning Herald: “Il Melbourne Park vuole veramente avere un’arena intitolata a qualcuno che è contro l’inclusione?”. Affermare che il matrimonio debba essere tra un uomo e una donna, una visione universalmente accettata fino a una generazione fa e ancora sancita dalla legge australiana, è ora considerato un crimine mentale. In questo clima, la Court, rea di aver anche detto che un bambino ha bisogno di un padre e di una madre, non deve essere solo esclusa dalla società per aver espresso le proprie opinioni, ma anche tutti i ricordi delle sue imprese devono essere cancellati.

 

I tennisti Andy Murray e Martina Navratilova, che è anche lesbica, hanno subito chiesto di togliere il nome della Court dallo stadio dove si svolgono gli Australian Open. Billie Jean King, altra tennista di fama mondiale, ha chiesto la damnatio memoriae per la Court, mentre l’olandese Richel Hogencamp si è domandata come facciano i tennisti da qui in avanti a giocare in uno stadio che porta il nome di una simile bigotta.

 

È dovuto pure intervenire il premier australiano, Malcolm Turnbull, che si è invece schierato con la Court: “Al di là di quello che le persone pensano delle idee di Margaret Court, è una delle più grandi giocatrici di tutti i tempi”. Come dire, il suo nome sta bene dove sta. Attaccata, la Court ha risposto: “Sono dei bulli, io penso che l’Australia sia ancora un paese giudeo-cristiano. Usano l’arena per colpire basso”.

 

I giochi invernali di Sochi furono trasformati in uno scontro etico di cliché fra gli occidentali-che-amano-i-gay e i russi-che-perseguitano-i-gay (il municipio di Toronto espose la bandiera Lgbt durante la durata dei giochi). Quando il North Carolina ha osato approvare una legge contro i bagni transgender, l’establishment sportivo ha annunciato un boicottaggio serrato dello stato americano. La Ncaa e la Nba, per citarne due, hanno cancellato le tappe dei loro campionati. Scrive il magazine libertario Spike che il calcio è stato individuato come un focolaio di fanatismo a causa del suo pubblico “white trash”. “Le campagne sull’omofobia nel calcio sono essenzialmente una bandiera di comodo per la snobizzazione della classe media”.

Nei prossimi giorni, i giocatori delle squadre di calcio negli Stati Uniti indosseranno tutti le magliette arcobaleno per celebrare il mese contro l’omofobia. Poi, tutti in ginocchio. A chiedere scusa. Anche per quella rincretinita di Margaret Court. E tanti saluti ai gay indonesiani frustati in nome dell’islam. Quelli non valgono neppure un hashtag.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.