Nigel Farage (foto LaPresse)

Ukip, fine party

Paola Peduzzi

Prima la vittoria Brexit, poi il collasso. Che ne è del partito nazionalista inglese? “E’ come un tacchino che vota per il Natale”

Un anno fa l’Ukip, il partito indipendentista britannico, aveva un consenso del quindici per cento, un record storico, e il suo contributo al dibattito inglese sull’Europa era citato e chiacchierato e sottolineato, con enfasi terrorizzata certo, ma pur sempre enfasi. Anzi: la decisione stessa dell’ex premier David Cameron di indire il referendum sciagurato sulla Brexit era stata determinata anche dall’Ukip, da quell’assedio degli antieuropeisti che chiedevano al governo inglese di non ingannare più gli elettori e di lasciare al popolo la scelta finale, decisiva, sul futuro del matrimonio del Regno Unito con l’Unione europea.

 

Come è andata si sa, l’Ukip ha fatto campagna elettorale per il referendum parlando soltanto di immigrazione, e ha vinto (sorprendendosi pubblicamente) – ha vinto anche poi, nel modo con cui ora Theresa May sta impostando il negoziato del divorzio, perché la questione del controllo dell’immigrazione ha convinto questo governo a uscire dal mercato unico europeo. Nel frattempo però l’Ukip è morto. In nove mesi, mentre dall’altra parte della Manica la detestata Francia scopriva come si costruisce un partito dal nulla e lo si porta all’Eliseo, gli indipendentisti britannici – che hanno una storia lunga venticinque anni – sono collassati. Implosi, esplosi anche. Nei sondaggi l’Ukip registra il cinque per cento dei consensi, ma il punto non è soltanto questo, anzi il punto è proprio un altro: è l’irrilevanza.

 

Il sistema britannico non aiuta i partiti piccoli: nel 2005, l’Ukip raccolse 3,9 milioni di voti in tutto il paese e ottenne soltanto un parlamentare, e oggi la difficoltà del partito di concentrare i propri sforzi in modo selettivo e geografico rende l’eventuale riscossa più complessa. Ma mentre non si parla che di Brexit e di come sarà e di che effetto farà, il partito che più di tutti ha le idee chiare (per quanto brutali) sulla faccenda è diventato al contrario materiale per barzellette: alle amministrative a inizio maggio, l’Ukip si è schierato in soltanto metà dei seggi disponibili; in Essex, il commissario del partito è arrivato dieci minuti in ritardo alla consegna delle candidature e così non ha fatto in tempo a depositare i nomi: colpa del traffico, ha detto. Nel Worcestershire, un consigliere locale ha perso le elezioni perché per sei mesi non si è mai presentato a nessuno degli eventi organizzati per lui, mentre un suo collega ha piantato la campagna elettorale a metà: ragioni famigliari, si è trasferito in Thailandia.

 

L’organizzazione non è mai stata un punto di forza dell’Ukip, come tutti i movimenti di questo tipo, in un sistema peraltro penalizzante, il “surge” indipendentista è stato determinato dai leader e dall’entusiasmo, dall’essere semplici ma chiarissimi, più che dall’organizzazione. Il leader di oggi dell’Ukip, Paul Nuttall, ha perso alle elezioni locali, dopo aver fatto una figuraccia via l’altra, inventandosi di essere stato un calciatore professionista e di aver avuto un amico morto nella strage di Hillsborough (su questo insiste di aver detto la verità) e ancora adesso gli elettori dell’Ukip ricordano queste bugie quando ammettono: voteremo per i conservatori.

 

Un movimento simil-Cinque stelle

 

Attorno a Nuttall le cose non sono andate meglio: Nigel Farage resta il testimonial più noto e visibile degli indipendentisti, ma il suo trumpismo-lepenismo non è troppo di moda, e poi ha litigato con l’unico parlamentare dell’Ukip (ora indipendente) e occhieggia all’iniziativa alternativa che vorrebbe creare il finanziatore in chief del partito, Arron Banks, anche lui fuoriuscito (anzi cacciato), che aspira a istituire – scrive il Financial Times – un movimento simil-Cinque stelle. Per ora c’è soltanto un sito che al confronto Breitbart è moderato e veritiero. In punto di morte, l’Ukip potrebbe ottenere soltanto uno dei suoi obiettivi, senza però poter beneficiare degli eventuali meriti: annientare il Labour. Nuttall voleva conquistare l’elettorato laburista della working class, invece potrebbe soltanto finire per lasciare i propri seggi all’arrembaggio degli odiati Tory, contribuendo alla vittoria del partito che ha assorbito buona parte dell’elettorato indipendentista.

 

Cattiva organizzazione sul territorio, liti tra i leader, bugie: così muore un partito. Ma aveva un’idea rivelatasi maggioranza, com’è che questa non lo tiene in vita? Forse perché anche le idee popolari devono essere gestite, forse perché la dittatura della scelta dal basso non regge nel tempo, forse perché l’Europa sta risorgendo, forse perché, come ha detto lo stesso Farage, l’Ukip con la Brexit “è come il tacchino che vota per il Natale”, avrai il tuo momento di gloria, ma poi tornerà un altro Natale, e tu non ci sarai più.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi