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Cari Manconi e Locatelli, chiamateli terroristi, non prigionieri politici

Ofer Sachs

"I prigionieri di cui stiamo parlando, non sono detenuti per reati derivati dalle loro posizioni politiche o di coscienza. Ci riferiamo a persone coinvolte in tragiche azioni terroristiche". L'ambasciatore israeliano scrive ai due parlamentari

Egregia Presidente On. Pia Locatelli, Egregio Presidente Sen. Luigi Manconi,

 

Con la presente, faccio seguito alla Vostra lettera inviatami il 10 maggio scorso, relativamente allo sciopero della fame dichiarato da alcuni prigionieri palestinesi, detenuti nelle carceri israeliane.

 

In primis, ci tengo a precisare che, i prigionieri di cui stiamo parlando, non sono detenuti per reati derivati dalle loro posizioni politiche o di coscienza. Ci riferiamo a persone coinvolte in tragiche azioni terroristiche che, purtroppo, hanno portato alla morte di centinaia di israeliani. Il primo di questi è proprio Marwan Barghouti, autoproclamatosi leader di questa protesta.

 

Come credo Voi saprete già, Marwan Barghouti è un terrorista che si è reso responsabile di atti criminali gravissimi tra il 2001 e il 2005, determinando la morte di civili innocenti. Per queste ragioni, Barghouti è stato condannato a cinque ergastoli, da cinque Tribunali israeliani differenti. A riprova dell’imparzialità dei processi svolti nei suoi confronti, faccio qui presente che lo stesso Barghouti è stato assolto da 21 dei 33 capi di imputazione per omicidio di cui è stato accusato, per insufficienza di prove.

 

Per quanto concerne la situazione dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane, la lettera di Marwan Barghouti pubblicata dal New York Times, contiene una serie di falsità e di affermazioni prime di fondamento. Ai detenuti incarcerati nelle prigioni israeliane, infatti, vengono garantiti tutti i diritti previsti dalle normative internazionali. Anzi, in diversi casi, i prigionieri palestinesi godono di diritti che vanno oltre quanto previsto dalla Convenzione di Ginevra. Lo stesso Marwan Barghouti, ad esempio, ha completato proprio nelle carceri israeliane, il suo dottorato di ricerca accademico.

 

Parlando di numeri, quelli forniti da Barghouti relativamente alla situazione dei prigionieri palestinesi, sono completamente falsi. Barghouti sostiene che almeno duecento palestinesi sono morti nelle carceri israeliane dal 1967 ad oggi. Un numero inventato: da quella data, infatti, un solo detenuto palestinese è morto nelle carceri israeliane per motivazioni legate alla violenza (un decesso accaduto durante una protesta). Ancora: Barghouti sostiene che, in cinquant’anni, 800 mila palestinesi sono stati detenuti in Israele, una media di 16 mila detenuti l’anno. Nuovamente, si tratta di un numero inventato: nella Seconda Intifada, periodo che ha fatto registrare il maggior numero di fermi, i palestinesi arrestati da Israele per reati legati alla violenza sono stati 9.516.

 

Infine la questione politica: la protesta dichiarata da Marwan Barghouti ha ben poco a che vedere con i diritti umani e con il processo di pace. Barghouti, dipinto da una minoranza estremista in occidente come un nuovo Nelson Mandela, è un terrorista senza scrupoli, che non ha mai mostrato alcun rimorso per le sue spregevoli azioni. Peggio, non ha mai dimostrato alcun interesse verso la pace, avendo pubblicamente descritto Israele come “una potenza occupante da 70 anni” (ovvero dal 1948, anno di nascita dello Stato ebraico di Israele). Affermazione che chiaramente prova come Marwan Barghouti disconosca lo stesso diritto di Israele ad esistere. Lo sciopero della fame dei detenuti palestinesi, invece, andrebbe letto alla luce della lotta di potere interna all’establishment palestinese per la prossima successione ad Abu Mazen.

 

Piuttosto, se veramente s’intende favorire la pace tra i due popoli, è necessario smettere di restare indifferenti davanti all’incitamento all’odio da parte delle fazioni politiche e armate palestinesi, primariamente della stessa Autorità nazionale palestinese. In particolare, è necessario condannare la decisione dell’Anp di versare un salario mensile ai prigionieri palestinesi, spesso pagato anche dai contribuenti di numerosi paesi democratici. Soldi donati con intenti positivi che, invece di essere usati per favorire lo sviluppo economico delle aree sotto amministrazione dell’Anp, finanziano coloro che si sono macchiati di reati di sangue, favorendo la perpetuazione dell’educazione all’odio e alla violenza.

 

Ritengo che sia soprattutto su questo punto che le forze politiche e le opinioni pubbliche occidentali devono riflettere attentamente.

 

Distinti saluti

Ofer Sachs, ambasciatore di Israele in Italia

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