Se vogliamo un'Europa diversa uniamoci per riformare i trattati

Matteo Scotto

Germania e Francia hanno già cominciato a parlarne ma da noi l'argomento rimane un tabù. Nessuno vuole pagare un prezzo politico troppo alto. Ma così si perde un'occasione

Tra guelfi e ghibellini, aquila e pantera, rossi e neri e chi più ne ha (di stelle) più ne metta, forse forse c’è un tema in Italia che — tenetevi forte — può mettere tutti d’accordo: l’Europa. Sì, perché l’impressione che uno ha sentendo le colorite dichiarazioni che arrivano più o meno da tutti i partiti, movimenti o coalizioni che dir si voglia, è che in fondo in fondo vadano tutte nella stessa direzione. Insomma, tutti si inseguono come il gatto che si morde la coda. E non sarebbero un sogno se tutti lo capissero e l’Italia si dimostrasse per una volta unita, quindi credibile, quindi più forte ai tavoli dei negoziati?

 

Tutti parlano grosso modo di un’Europa diversa, di un’Europa più sicura, più efficace, più coesa, più prospera, eccetera, eccetera, eccetera. Perfino i più scettici, alla fatidica domanda sul futuro dell’Italia nell’Unione europea e nell’Eurozona, danno spesso risposte contrastanti a seconda di come tira il vento. Ma se davvero tutti vogliono un’“Europa sì, ma non così” o un’“Europa dei cittadini” o un’“Europa meno burocratica”, il risultato è che cambia lo slogan ma non la soluzione: fare un passo avanti decisivo nel processo d’integrazione europea. Lo si chiami “più Europa” o lo si chiami “Europa diversa”, fa poca differenza. Il punto è che la domanda politica e le aspettative dei cittadini, specialmente di quelli più giovani, verso le istituzioni comunitarie sono profondamente aumentate, anche e soprattutto in Italia. Chiediamo che l’Europa garantisca la sicurezza delle persone, delle nostre frontiere, la crescita delle nostre economie, la sostenibilità dell’ambiente, la pace nei paesi ai confini dell’Unione, e così via. Forse non ce ne rendiamo ancora conto, ma semplicemente chiediamo che l’Europa affronti le sfide della globalizzazione, a cui evidentemente gli stati da soli non possono più far fronte. È quindi un paradosso proporre soluzioni sovraniste o protezionistiche a questioni di tale portata, il che trasforma magicamente l’Europa nella soluzione e non nel problema. L’ultimo dilemma da risolvere rimane come fare questo passo in avanti. Facile, nell’unico modo possibile, vale a dire riformando i Trattati, cosa di cui hanno già iniziando a parlare in Francia e Germania, ma come al solito non in Italia.

 

Da noi rimane un tabù, perché il prezzo politico da pagare nel dirlo forte e chiaro sarebbe troppo alto. L’Euroscetticismo paga ancora e bene. Eppure in Europa qualcuno che ha vinto l’elezioni invertendo questa sclerosi c’è stato, in un paese, la Francia, che ha bisogno al pari dell’Italia di un’Europa più forte per avere una Francia più forte. “La France est notre patrie, l’Europe est notre avenir”, diceva Mitterand. Nel Bel Paese, De Gasperi l’avevo capito cent'anni fa. L’Italia ha dunque tutto l’interesse politico, da nord a sud, da est a ovest, di allinearsi con l’asse franco-tedesco sulla necessità di riaprire il Trattato di Lisbona. È un treno da prendere, un’occasione, per far sì che gli interessi del nostro paese vengano fortemente considerati. Certo, se quando il momento verrà ci faremo trovare impreparati e divisi sul colore delle lenzuola, Frau Merkel strizzerà di nuovo l’occhio al Monsieur President, liquidandoci per la consueta affeziona da nanotenia psichica, meglio conosciuta come sindrome di Peter Pan.