Theresa May (foto LaPresse)

Levatemi l'individualismo, il libero mercato e le crociate ideologiche, dice la May

Paola Peduzzi

Il manifesto lanciato ieri dalla May conferma che i Tory hanno deciso di cambiare volto un’altra volta, approfittando anche della radicalizzazione del Labour che lascia scoperto il centro moderato ancora in cerca di una casa politica

Milano. “Forward toghether” è lo slogan scelto da Theresa May per la campagna elettorale in vista dell’8 giugno, e visto che il presagio non è dei migliori – è lo slogan di Hillary Clinton – molti commentatori si sono affannati a ricordare che la storia è lunga, quella dei conservatori inglesi poi è lunghissima, e questo slogan non è di Hillary, ma è di Winston Churchill, e ancor più di Margaret Thatcher, che all’inizio degli anni Ottanta sotto questa bandiera di movimento in avanti tutti insieme forgiò la sua rivoluzione. Ma di questa storia liberale thatcheriana oggi non c’è molto più che lo slogan, perché il premier May sta imprimendo un cambio di rotta a tutto il partito, per calcolo elettorale ma anche per intercettare e curare quel senso di abbandono che le working e middle class d’occidente sentono tutte, tutte insieme.

 

Il manifesto lanciato ieri dalla May (elaborato dal suo fedelissimo e misterioso Nick Timothy, che pare alle prese con una guerra intestina con il sempre più fragile cancelliere dello Scacchiere Philip Hammond, e da altri due segretari conservatori, George Freeman e Ben Gummer) conferma che il conservatorismo britannico oggi ha deciso di cambiare volto un’altra volta, approfittando anche della radicalizzazione della sinistra laburista che lascia scoperto quel benedetto centro moderato ancora in cerca di una casa politica. Mentre molti partiti tradizionali implodono in giro per il mondo, la May vuole allargare i suoi Tory, portarli nelle famiglie di quei “dimenticati” che hanno scandito la retorica del premier fin dal suo debutto, nello scorso luglio, all’indomani del referendum sulla Brexit. L’obiettivo della May è rafforzare se stessa per guidare un negoziato deciso con l’Ue sull’uscita e rafforzare il paese, perché riesca a rimanere saldo – e “più equo” – in questi anni incerti che lo aspettano. Non esiste il “mayismo”, ha detto la May rispondendo a un giornalista, c’è soltanto “un buono, solido conservatorismo”, che rifiuta “le crociate ideologiche”, “l’individualismo egoista” e “il libero mercato incondizionato”. Bye bye Thatcher, insomma, nessuno può farcela pensando esclusivamente a se stesso, ma questo non vuol dire che nel Regno Unito non possa essere costruita “una grande meritocrazia”, un paese che possa funzionare “non per pochi ma per ognuno di noi” (che è anche quel che dicono i laburisti). Bye bye anche a David Cameron, il predecessore, che aveva impostato la sua leadership sul liberismo mediato da una mai abbastanza compresa “Big Society”. May straccia la promessa cameroniana di non alzare le tasse, così come straccia il cosiddetto “triple lock” sulle pensioni: chi guadagna meno di 100 mila sterline l’anno non dovrà pagare per la propria pensione, ma per gli altri invece ci saranno delle spese – e lo scorno è così alto che c’è chi s’è chiesto: com’è che la May infierisce su quegli anziani che hanno votato per la Brexit? Forse perché considera il loro voto scontato, ma nella versione ufficiale si tratta ancora una volta di un calcolo di “fairness” per la May, che non vuole sobbarcare i giovani di ulteriori oneri, visto che l’incertezza dei prossimi anni riguarda prima di tutto loro. May amplifica la promessa cameroniana – non mantenuta – sul taglio all’immigrazione, che sarà diminuita di altre decine di migliaia di persone, sotto al numero fatidico dei 100 mila e questo va nella direzione presa dal governo sulla Brexit che significa, come s’è detto fino allo sfinimento, Brexit, e quindi uscita dal mercato comune (George Osborne, che è diventato il direttore dell’Evening Standard e non perde giorno per vendicarsi della May che non lo volle nel suo primo governo, ha scritto che la promessa sull’immigrazione del premier è “economicamente da analfabeti”). Benché l’Europa, in particolare Angela Merkel, cancelliera tedesca, continui a ripetere che bisogna fugare tutte le “illusioni” divulgate da Londra sulla Brexit – e questo atteggiamento fa puntualmente infuriare Londra – la May ha ribadito che “nessun accordo è meglio di un cattivo accordo”, si valuteranno soltanto compromessi accettabili. I prossimi cinque anni saranno rischiosi e decisivi per il Regno Unito, il premier vuole un mandato chiaro e univoco, e per questo dice di smetterla con le tribù e con le etichette e con le ideologizzazioni sfrenate, “la Thatcher era una conservatrice come me”, i conservatori difendono l’interesse della nazione: One Nation Tory, questa è l’ispirazione, una nazione unica e unita, tutta colorata del blu del conservatorismo rosseggiante di Theresa May.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi