Gli appuntamenti di Donald Trump nel Connecticut (foto LaPresse)

Guerra di diritto: perché è improbabile l'impeachment di Trump

La strada lunga e impervia che porta dalle note di Comey all’imputazione del presidente americano

New York. Si fa presto a dire impeachment. Nella storia americana un solo presidente si è dimesso e due sono stati sottoposti alla procedura di impeachment, e infine non sono stati sollevati dall’incarico. Per avviarla occorre una maggioranza semplice alla Camera, e per portarla a compimento i due terzi del Senato, e a parte i numeri la procedura segue un iter complesso, giuridicamente ambiguo e con pochissimi precedenti su cui fare affidamento. E’ statisticamente molto più probabile che un presidente muoia durante il mandato (otto sono deceduti in carica). La rivelazione sul tentativo di Donald Trump di interrompere o influenzare l’inchiesta su Michael Flynn con una (o più) conversazioni con James Comey ha riportato in superficie il mai abbandonato tema dell’impeachment, perché un presidente che chiede al direttore dell’Fbi di lasciar perdere le accuse a un imputato solleva la questione dell’ostruzione alla giustizia. La Costituzione dice che l’impeachment può scattare per “tradimento, corruzione e altri gravi delitti e crimini”, definizione generica che contiene certamente l’ostruzione alla giustizia. In assenza di nuove e clamorose rivelazioni sui rapporti con la Russia, chi vuole trovare un appiglio su cui costruire un caso d’impeachment troverà più materiale utile nel filone delle conversazioni con Comey che nella gestione, pur criticabile, dei dossier diplomatici. Dare al ministro degli Esteri di Mosca informazioni sensibili sul terrorismo raccolte da Israele può essere un suicidio politico o un tremendo azzardo sulla sicurezza nazionale, ma non offre materiale che porti il presidente all’imputazione.

  

Si fa presto, però, anche a dire ostruzione alla giustizia. Nel sistema penale americano è un reato piuttosto difficile da provare al di là di ogni ragionevole dubbio. Ci sono tre condizioni fondamentali che devono essere soddisfatte. Prima: deve esserci un’inchiesta in corso (e qui c’è); seconda: la persona che ostruisce deve essere a conoscenza dell’inchiesta (Trump lo è); terza: il sospetto deve agire “in modo corrotto”, ovvero deve dimostrare la volontà ferma e indubitabile di impedire il corso della giustizia, non basta chiedere a un procuratore in una circostanza di lasciar perdere un certo imputato. La terza condizione non è facilmente dimostrabile, ché implica la prova di un chiaro “stato mentale” dell’imputato. E gli stati mentali di Trump di rado sono di facile lettura.

  

Bob Bauer, ex consigliere legale della Casa Bianca, sostiene che il presidente ha mostrato una serie di comportamenti coerenti, un pattern of behavior, che tende a mostrare che l’ostruzione è già in atto. Trump stesso ha detto che per tre volte Comey lo ha rassicurato sul fatto che non era sotto inchiesta, cosa che implica – presumibilmente – che per tre volte Trump gli ha chiesto ragguagli. Se il presidente degli Stati Uniti fa domande interessate alla persona che indaga sulla sua Amministrazione, la persona che il presidente ha il potere di licenziare senza preavviso né motivazioni, non stabilisce già un rapporto di influenza impropria? Non si sta già configurando un atteggiamento che impedisce agli inquirenti di indagare liberamente?

  

Questi ragionamenti sono però limitati all’ambito della giustizia criminale. Secondo la posizione tradizionale dell’esecutivo, il presidente non può essere messo sotto inchiesta durante il suo mandato, e proprio per questo esiste l’impeachment, che è una procedura legale e politica allo stesso tempo. Significa che ad avviarla è il ramo legislativo, occorre convincere deputati e senatori secondo un negoziato più simile al passaggio di una legge che all’apertura di un’inchiesta. Poiché tutti conoscono le disfunzionalità del Congresso (peraltro saldamente repubblicano), anche i più accaniti cercatori di materiale per cacciare Trump sono scettici sulla via dell’impeachment, e preferiscono lavorare sulla scorciatoia del 25esimo emendamento: il presidente “non è in grado di esercitare i poteri e i doveri del suo incarico”.