Turchia, Erdogan inaugura il terzo ponte sul Bosforo (foto laPresse)

Le infinite "linee rosse" oltrepassate da Erdogan

Enrico Cicchetti
Gli arresti di giornalisti avvenuti lunedì non sono che l'ennesima violazione di diritti perpetuata dal governo di Ankara. Epurazioni, censura, torture. E si torna a parlare di pena di morte. Questa volta ci sono i numeri in parlamento.

In una significativa vignetta del disegnatore tedesco Tomicek, pubblicata sul Morgenpost, un impassibile Erdogan passeggia incurante delle molte “ultimissime linee rosse” che un addetto dell’Unione europea traccia sul terreno. E’ forse la sintesi più azzeccata di ciò che sta accadendo tra Turchia ed Europa dal 15 luglio 2016, il giorno del fallito colpo di stato in cui una parte dell’esercito ha tentato di scalzare il presidente Recep Tayyip Erdogan. Lunedì una nuova serie di arresti nel quotidiano Cumhuriyet, bandiera del giornalismo d’inchiesta laico e indipendente, ha incrinato ulteriormente i rapporti tra i due blocchi. La polizia turca ha arrestato il direttore Murat Sabuncu e uno dei giornalisti di punta, Guray Oz, oltre ad aver spiccato ordini di arresto per altri 15 tra giornalisti e dirigenti del quotidiano.

 

"Gli Stati Uniti sono profondamente preoccupati per quello che sembra essere un giro di vite sui mezzi di comunicazione d’opposizione in Turchia", ha detto il portavoce del dipartimento di stato americano John Kirby in conferenza stampa, accodandosi alle proteste di molti osservatori internazionali, tra cui l’International Press Institute, che ha condannato “con la massima fermezza” il tentativo delle “autorità turche di mettere a tacere l’ultimo media critico rimasto nel paese”.

 

Ieri è arrivata via Twitter anche la reazione del presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz: "Con la detenzione di Murat Sabuncu e di altri giornalisti, Ankara ha oltrepassato un'altra linea rossa della libertà di espressione”. Schulz ha aggiunto che “Cumhuriyet non è solo una testata indipendente: è il più antico quotidiano laico del paese, un’istituzione della Repubblica. Le purghe massicce sembrano motivate più da finalità politiche che da ragioni legali e di sicurezza”. “Il governo turco sta creando un clima di polarizzazione anziché di unità”, ha aggiunto.

 



 

In occasione del rinnovo dello stato di emergenza dichiarato il 20 ottobre, 26 ong internazionali avevano già pubblicato un appello al governo di Ankara nel quale si leggeva che “nei primi due mesi e mezzo dello stato d’emergenza, le autorità hanno chiuso circa 150 organi d’informazione e case editrici, causando la perdita del lavoro a oltre 2.300 persone. Almeno 99 giornalisti e scrittori sono stati arrestati, facendo salire a circa 130 il numero degli operatori dei media arrestati per ragioni riconducibili alla loro attività professionale. Questo numero non comprende i giornalisti arrestati e poi rilasciati e quelli che si trovano provvisoriamente in custodia di polizia. Le disposizioni dello stato d’emergenza sono state usate anche per minacciare famigliari di giornalisti fuggiti all’estero o entrati in clandestinità, attraverso l’annullamento dei loro passaporti o il loro arresto al posto del parente ricercato”.

 

"Colleghi, non ci interessa la vostra linea rossa”, ha detto il primo ministro turco Binali Yildirim in un discorso in Parlamento. Yildirim si appoggia ai pubblici ministeri che accusano il personale di Cumhuriyet di aver commesso crimini per conto di militanti curdi e della rete di Fethullah Gülen, il religioso rifugiato in America e accusato dal governo turco di aver orchestrato il golpe. "Ci sono accuse contro i dirigenti della testata, una denuncia e un’indagine dal mese di agosto: per questo sono scattati gli arresti”, ha ribadito il premier, che rivolgendosi all’Unione europea ha aggiunto: “E’ il nostro popolo che disegna la linea rossa. Che importanza ha la vostra linea". Ankara si appella alla volontà popolare anche nel suo tentativo di reintrodurre nella legislazione turca la pena di morte.

 

Il partito di governo Akp, infatti, ha dichiarato martedì che sarebbe allo studio una legge per ripristinare una versione limitata della pena capitale, che non sarà applicata retroattivamente: “La pena capitale è una questione costituzionale e una questione di compromessi. Se c'è un accordo con altri partiti politici su questa esigenza generale del popolo, la legge sarà redatta", ha detto il premier, cogliendo al volo l’assist fornito da Devlet Bahceli, leader del partito nazionalista Mhp, che un paio d’ore prima aveva espresso sostegno al ripristino delle esecuzioni se l’Akp proponesse un emendamento costituzionale. "La gente vuole la pena di morte. Se l'Akp è pronto, l'Mhp è sempre stato pronto", ha spiegato Bahceli. La pena capitale in Turchia era stata abolita solo nel 2004, in linea con il processo di adesione di Ankara all’Unione europea. Con 416 seggi in parlamento, il partito di Erdogan avrebbe ora bisogno di 14 voti extra che il Mhp sarebbe disposto a fornire.

 

Ulteriore “linea rossa” oltrepassata e ignorata dal governo di Ankara sono le garanzie per i detenuti nelle carceri del paese, che sono sistematicamente “torturati e maltrattati”, come si legge in un rapporto di 47 pagine pubblicato il 24 ottobre dall’associazione Human rights watch. Per l’organizzazione, lo stato d'emergenza in vigore dà "carta bianca" ai poliziotti per commettere abusi. Privazione del sonno, percosse e minacce di violenza sono tra i principali maltrattamenti documentati da Hrw, che riferisce di aver intervistato 40 persone, tra cui avvocati, specialisti di medicina legale ed ex detenuti.