Il summit G7 del 2016

Il vecchio e superato format del G7

Gianni Castellaneta

A Taormina rischia di andare in scena una semplice riunione tra soci di un vecchio circolo elitario. Ma l’Italia avrà l’occasione di dire la sua

Ancora pochi giorni al G7 di Taormina e finalmente potremo vedere la family photo dei leader nella suggestiva cornice del Teatro greco, degna location per l’incontro tra le personalità più influenti del pianeta. Eppure, siamo proprio sicuri che il G7 sia ancora una rappresentazione fedele dei rapporti di forza mondiali a livello geopolitico ed economico? Il formato “a sette” (seppur con l’inclusione dell’Unione europea come ottavo membro de facto, e al netto dell’espulsione della Russia dopo i noti fatti del 2014) appare dopo tanti anni assai logoro, superato dall’emergere di nuove potenze e dalla nascita di nuovi forum multilaterali come il G20. Un’irrilevanza che sembra avere subìto un brusco aggravamento negli ultimi mesi con l’irruzione sulla scena internazionale di un presidente come Donald Trump, estraneo alle liturgie dei grandi incontri a livello mondiale. Al netto di alcune incertezze, cambiamenti repentini di opinione, e alcuni errori diplomatici, stiamo assistendo alla nascita – seppur a livello ancora embrionale – di un “G3 informale”, che si sviluppa intorno a Stati Uniti, Russia e Cina. Fino a oggi, il più importante incontro bilaterale di Trump è stato con Xi Jinping nella sua residenza di villeggiatura a Mar-a-Lago, ed è stato un vertice che ha preso atto della coabitazione e cogestione della regione del Pacifico tra Washington e Pechino. La tenuta di questa convergenza di interessi potrebbe essere messa a dura prova nei prossimi mesi dalla questione nordcoreana, che nei fatti rappresenta una spina nel fianco della Cina, tradizionale protettore del regime stalinista di Pyongyang; eppure l’individuazione di un asse con gli Stati Uniti rappresenta potenzialmente un architrave fondamentale dell’architettura geopolitica dei prossimi anni.

     

Lo stesso si può dire di una ritrovata intesa, sulla base di un pragmatico realismo, tra Washington e la Russia: nonostante un vero e proprio “disgelo” non sia ancora avvenuto a causa delle numerose polemiche che si sono diffuse di recente in patria, da parte di Trump rimane il desiderio di ammorbidire i rapporti con Putin, di cui sembra subirne il fascino dell’“uomo forte”.

     

L’assenza di Europa e Onu

Di fronte a un simile riassetto dei rapporti di forza globali, che potrebbe esautorare l’Unione europea e i suoi principali stati membri, il G7 rischia dunque di essere derubricato a una semplice riunione tra soci di un vecchio circolo elitario. In questo scenario c’è il rischio che Donald Trump venga in Italia con l’obiettivo primario di godere delle straordinarie bellezze siciliane e di battere cassa con il suo omologo Gentiloni e con gli altri partner europei sul dossier relativo all’aumento dei contributi al budget Nato. La congiuntura attuale, con il Regno Unito ormai sempre più lanciato verso una hard Brexit, una Francia il cui nuovo assetto politico è ancora in via di definizione, e un Canada con un peso specifico troppo piccolo per poter spostare gli equilibri, sembra destinata a condannare il G7 all’irrilevanza, schiacciato tra il G20 che è ormai divenuto il forum principale per la gestione della governance economica e un inedito G3 con una sostanziale suddivisione delle aree di influenza cruciali sul pianeta: Atlantico, Pacifico e Mediterraneo.

        

Come se non bastasse, accanto al G3 della “geopolitica” si sta affiancando quello delle grandi società multilaterali della comunicazione. Apple, Google e Facebook sono i tre giganti che controllano ormai la gran parte dei flussi informativi globali, contribuendo a veicolare istantaneamente ogni giorno notizie vere o false o costruite ad arte per dare fiato ai movimenti populisti che in molti paesi occidentali stanno provocando una destabilizzazione dell’ordine mondiale. Non è esagerato immaginare un G3 dell’Ict e dei media che avrà un’influenza diretta sulla vita dei cittadini in molti casi molto più pesante rispetto alle decisioni prese dai singoli stati nazionali o anche da gruppi di essi. In questo contesto, a perderci siamo soprattutto noi europei e le organizzazioni internazionali “strutturate” facenti parte del sistema delle Nazioni Unite. Unione europea e Onu sono i grandi assenti di questo processo di ridistribuzione del potere globale, con effetti che potrebbero essere molto negativi nel medio periodo, riducendo i paesi europei e il resto del mondo – India compresa – alla sostanziale irrilevanza nella gestione dei grandi affari multilaterali. Il compito che attende Gentiloni a Taormina è dunque arduo, anche se cela delle opportunità interessanti per l’Italia per quanto riguarda ad esempio la soluzione dell’emergenza migratoria e umanitaria nel Mediterraneo e dei focolai di crisi in Medio oriente. Prima che tornino a soffiare i venti delle elezioni, spetta al nostro premier il compito di ottenere un successo diplomatico che riporti l’Italia al centro di alcuni dossier internazionali di primario interesse per il nostro paese.

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