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Viaggio nella Francia delle campagne, tra indecisi e "ni-ni"

Jean-Pierre Darnis

Per i sondaggi la partita è chiusa, ma perché pochi archiviano la Le Pen? Le ansie della destra diventata “cuscinetto”

Per misurare lo stato delle presidenziali francesi, prima di tutto ci sono i sondaggi, che danno un risultato costante: la vittoria di Emmanuel Macron con circa il 60 per cento dei voti, contro il 40 di Marine Le Pen. Ma è difficile trovare qualcuno pronto ad archiviare la Le Pen come episodio storico da dimenticare. Come conferma al Foglio il presidente della Camera di commercio di una provincia dei Pirenei, il voto per la Le Pen cresce in territori in sofferenza ma anche in territori che si sentono emarginati anche se non così poveri, come si può osservare in alcuni piccoli comuni di campagna dove, per esempio, non esiste un problema di immigrazione. Si possono cercare le ragioni in parte nell’accorpamento delle regioni che crea una maggiore distanza con le città, ma non va sottovaluto il sentimento di noia anarchica di un popolo che si rivolta senza istanze precise.

       

Macron viene ormai sostenuto da un largo spettro politico che va dai socialisti a una parte consistente dei Républicains, passando per una serie di sindacati, corpi intermedi o personalità a sé stanti. Leggendo il Figaro, la Croix, il Monde o Libération, i messaggi di sostengo diretto o indiretto alla sua candidatura coprono l’intero arco politico-editoriale. Certo, colpisce anche l’assenza di quel “Front Républicain” che nel 2002 fece barriera contro Le Pen padre con l’80 per cento dei suffragi per Chirac. C’è oggi il rifiuto da parte di alcune forze politiche di pronunciarsi a favore di Macron, il che viene a volte collegato con aperture intellettuali o politiche verso Marine Le Pen. Le due cose però non combaciano perfettamente. Nella France insoumise di Jean-Luc Mélenchon, il classico antifascismo dell’estrema sinistra rimane prevalente ma non riesce a scavalcare il sentimento di avversione per il candidato Macron, percepito come troppo elitario e liberale. Si tratta pero’ di un problema relativo, anche perché lo spettro dell’estrema destra e quello dell’estrema sinistra rimangono sconnessi tra loro al di là delle valutazioni sulla competizione intorno a un elettorato operaio. Nella destra, il problema viene percepito in modo più acuto. Già, nel 2002 il Rassemblement pour la République, allora partito di Chirac e antenato degli odierni Républicains, rappresentava la limes contro l’estremismo, la linea che bisognava presidiare per evitare di cadere nelle mani dei barbari. Oggi i Républicains si ritrovano in una posizione di cuscinetto fra estrema destra e il centro allargato di Macron, una posizione nettamente più scomoda, che mette a repentaglio la loro tenuta ideologica. François Fillon ha condotto una campagna estremamente critica nei confronti di Macron, e questo non rende facile per il suo elettorato il passaggio al sostegno del giovane centrista. Ma dietro questi meccanismi politici, si cela anche una strana sensazione fra la borghesia conservatrice. Come spiega al Foglio un notaio della provincia di Corréze, molti colleghi si rifiutano di votare Macron e alcuni voteranno Front national. Questo tipo di orientamento viene confermatoanche dal segretario di un sindacato agricolo che sottolinea la diffidenza nei confronti di Macron e anche il rifiuto di molti nelle provincie di interpretarlo per quello che è, ovvero un borghese di provincia che ce l’ha fatta a Parigi, un moderno Rastignac, figura assai classica della politica francese. Anche fra i cattolici le dinamiche sono contraddittorie. Da un lato c’è l’attivismo dell’associazione cattolica Sens Commun all’interno della campagna di Fillon a favore della famiglia tradizionale, una tematica espressa anche dalla Le Pen. Ma nel contesto delle diocesi, si percepisce un messaggio meno bellicoso con aperture verso Macron e molta attenzione all’accoglienza dei rifugiati e all’Europa.

     

La paura della Le Pen è molto rumore per nulla? Come dice un responsabile centrista della regione di Tolosa, in tanti hanno interiorizzato gli effetti di Trump e della Brexit: di fronte a candidati favoriti si tende a pensare che l’outsider populista ce la possa fare. Non si tratta di un paradigma assoluto, anzi in Francia l’effetto potrebbe essere relativo. Certo, la ricomposizione in atto fra un centro allargato verso le parti riformiste della sinistra e della destra fa saltare la vecchia contrapposizione fra sinistra e destra, fattore nuovo che fa temere future alternanze con i populisti. Ma questo si vedrà più avanti.