Un F35 israeliano in volo (foto LaPresse)

In Siria non c'è la guerra mondiale ma molti raid israeliani

Daniele Raineri

Ennesimo bombardamento sull’aeroporto internazionale di Damasco. Assad aveva promesso vendetta contro Gerusalemme

Roma. Tre settimane fa il presidente americano, Donald Trump, ordinava un attacco limitato con missili contro una base aerea dell’aviazione siriana, in risposta a una strage con armi chimiche compiuta dagli assadisti tre giorni prima contro un piccolo centro abitato nella zona non controllata dal governo. Cosa è successo dopo? A dare retta ai commenti fatti a caldo in quei giorni, si era ormai sull’orlo di una guerra mondiale contro la Russia, grande sponsor del presidente siriano Bashar el Assad. Come se la Russia fosse subito pronta a scatenare una guerra per difendere l’inviolabilità della base siriana di al Shayrat, nella pianura spenta a sud della città minore di Homs. E di Assad in particolare si diceva che mai e poi mai avrebbe autorizzato un bombardamento chimico contro i civili, non poteva essere stato lui, perché sarebbe stato un suicidio politico-militare – e chissà cosa gli sarebbe successo ora. Non gli è successo nulla, oggi sappiamo la risposta. Il raid americano era un “one-off”, un colpo singolo dimostrativo, sei soldati sono morti, Bashar el Assad è al suo posto a Damasco e la guerra civile va avanti come prima. Come misura cautelativa tutti gli aerei siriani sono stati spostati in una base vicino alla costa assieme con gli aerei russi, così gli americani prima di lanciare missili anche lì ci penseranno due volte – ed è probabile che il governo siriano abbia deciso di sospendere l’uso di armi chimiche per il futuro. Le denunce di chi diceva che la Siria ha tradito l’accordo del 2013 e conserva ancora scorte di armi chimiche sono state confermate, pure in questo caso non si segnalano conseguenze. 

 

  

L’esercito israeliano una settimana fa ha detto che le scorte di agente nervino ancora in possesso del governo siriano sono stimate tra una e tre tonnellate. Due giorni fa un rapporto dei servizi segreti francesi – che si sono procurati campioni delle armi chimiche usate nella strage di Idlib – è stato reso pubblico dal governo Hollande e ha confermato la responsabilità di Bashar el Assad. Nel rapporto c’è anche un informazione importante, il gas sarin usato a Idlib contiene una sostanza che è come una firma chimica, in inglese il nome è “hexamine”. E’ uno degli ingredienti usati per creare il sarin, che di suo è una sostanza altamente instabile e corrosiva e quindi ha bisogno di una componente stabilizzante, come appunto l’hexamine. La stessa sostanza è stata trovata anche in altri attacchi chimici imputati al governo siriano, come quello dell’agosto 2013 a Ghouta che fece millequattrocento morti. Se si va a sfogliare l’inventario delle sostanze chimiche consegnate dal governo siriano nel settembre 2013 per evitare i raid aerei americani ci sono anche ottanta tonnellate della stessa sostanza – in pratica la Siria ammette di usare l’hexamine come stabilizzante per le sue armi chimiche e però nega di avere compiuto stragi chimiche in cui ci sono tracce della stessa hexamine. Il rapporto francese sostiene che il sarin è stato prodotto nel Centro per la ricerca e studi scientifici vicino Damasco, un’installazione che si occupa di tecnologia militare. Anche il governo americano è arrivato alla stessa conclusione e quattro giorni fa ha imposto sanzioni contro tutti i 271 dipendenti che ci lavorano – e di nuovo ha ignorato le giustificazioni bizzarre fornite dai russi, come per esempio il racconto del bombardamento casuale di una fabbrica di sarin in mano ai ribelli. Se assieme a questi rapporti si considera che il pilota che ha sganciato la bomba chimica è stato individuato e che le comunicazioni militari erano tenute sotto sorveglianza, il quadro è sempre più chiaro. L’uso di armi chimiche in guerra da parte del governo siriano è spesso affrontato in modo vago sui media, ma ormai – a dispetto del fatto che Damasco tenta di coprire tutto sotto un ovvio schermo di segretezza – ci sono molte informazioni a disposizione sugli uomini, i posti e le analisi chimiche legati agli attacchi più gravi. Prima o poi i dati finiranno per fare parte di un dossier d’accusa davanti a un tribunale internazionale.

 

Nella notte tra mercoledì e giovedì c’è stato un nuovo, ennesimo raid aereo israeliano, questa volta contro l’aeroporto internazionale di Damasco, che è anche uno scalo importante per gli iraniani e le milizie libanesi di Hezbollah alleate di Assad. Il ministro dell’intelligence israeliano, Israel Katz, non ha confermato ma ha detto che l’attacco “è coerente con la politica di Israele: impedire i trasferimenti di armi sofisticate a favore di Hezbollah”. Da novembre 2016 questi raid israeliani si sono molto intensificati. A marzo il governo siriano aveva promesso rappresaglie durissime in caso di attacchi israeliani, ma come fu per la promessa di consegnare le armi chimiche, anche questa finora è stata a vuoto. Ieri sera un missile Patriot israeliano ha colpito un drone siriano che aveva sconfinato sulle alture del Golan.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)