Tony Blair (LaPresse)

Blair scatenatissimo scandisce il ritmo sulla Brexit né-di-destra-né-di-sinistra

Paola Peduzzi

In vista delle elezioni dell'8 giugno l'ex premier sta cercando di portare avanti la linea che non si deve accettare un'uscita “a ogni costo”. Ma la May gli ha rubato il tempo

Milano. La Brexit ha vinto, gli inglesi ripetono di non aver cambiato poi troppo idea, chi era per il Leave continua a esserlo, gli altri continuano a disperarsi, ma non è detto che si debba anche accettare, assieme alla sacrosanta volontà popolare, una Brexit “a ogni costo”. C’è Brexit e Brexit, insomma, questo è il punto che, scatenatissimo, Tony Blair sta cercando di portare avanti in vista delle elezioni inglesi dell’8 giugno.

 

Il premier Theresa May, una che i calcoli politici li sa fare alla grandissima, ha rosicchiato via il terreno sotto i piedi di Blair, gli ha tolto il tempo soprattutto, che era forse la prima cosa che gli serviva per articolare il suo messaggio e per farlo circolare lontano da sé, per non lasciare addosso a una buona idea il fardello per molti tossico del blairismo. Il tempo non c’è più, sei settimane e si vota, ma l’ex premier laburista ormai era in campo e non ha smesso di giocare, anzi rilancia ogni giorno. L’unico modo per creare qualche pensiero ai Tory e alla May – che viaggiano nei sondaggi a ritmi supersonici – è “rovesciare loro addosso la Brexit”, ha scritto ieri Blair in un articolo sul Guardian: non distrarsi, non pensare che queste elezioni riguardino altro, ma insistere sul fatto che la Brexit non è inevitabile, o almeno non lo è nella sua forma più “hard” sposata, per ora, dal governo conservatore.

 

Ma a chi parla, Blair? Nella risposta c’è tutto il dramma dell’ex premier e soprattutto del Labour, che è la forza d’opposizione che meno finora s’è opposta alla Brexit. Blair ribadisce che lui voterà per il Labour, non ha mai fatto altro e non lo farà nemmeno in quest’occasione, ma gli inglesi devono informarsi bene, capire bene che cosa vogliono i candidati nelle loro circoscrizioni, e valutare. Soprattutto, non devono distrarsi: conta soltanto la Brexit. Tatticismo spietato in cui far inciampare anche il detestato e debolissimo Jeremy Corbyn, attuale leader del Labour? Blair non può che rifiutare questa interpretazione, ma in un mondo politico che si trasforma, che non viaggia più soltanto lungo i tradizionali binari della destra opposta alla sinistra, per Blair vale tutto, l’importante è poter avere la possibilità, da qui ai prossimi due anni, di dire al mondo: ho cambiato idea, questa uscita dall’Ue negoziata in tal modo non mi va bene.

 

Il Labour ieri ha presentato il suo piano-visione sulla Brexit, e per la prima volta ha formulato una terza via tra i blairiani e i liberaldemocratici – che vogliono di fatto un nuovo referendum sul negoziato – e i conservatori che, se ora ottengono il mandato elettorale, non desiderano più sottoporsi alla volontà popolare: intervenire nel negoziato in modo da scongiurare l’hard Brexit e poi imporre un “voto significativo” in Parlamento. Forse il Labour sta uscendo dal suo tormento sulla Brexit, ha scritto qualcuno, ma finora i voti “significativi” ai Comuni non sono stati così dirimenti, ed è probabile che se la May vincesse le elezioni con i margini accreditati oggi (e il Labour che si perde anche il Galles) la voce in capitolo laburista sarebbe molto flebile.

 

Ma anche l’offensiva della cosiddetta “coalizione progressista” di ispirazione blairiana ieri ha subìto uno smacco amaro. Open Britain, think tank bipartisan anti Brexit, ha indicato venti seggi in cui operare la selezione di cui parla Blair, cioè votare il candidato contro l’uscita dall’Ue, di qualsiasi partito egli sia. Venti seggi non sono nulla, ovviamente, ma era un segnale di vita per un progetto cui aspirano molti ma che non ha ancora concretezza. Poco dopo la notizia, i conservatori nel board di Open Britain hanno deciso di dimettersi, condannando lo stesso centro studi all’irrilevanza – e il mattatore è il guru del New Labour Peter Mandelson, non uno che ama l’irrilevanza – e mandando un messaggio chiaro: noi siamo conservatori prima di tutto, e potremmo vincere a valanga un’elezione, alla Brexit ci penseremo poi.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi