Il califfo Abu Bakr al Baghdadi (foto LaPresse)

Perché Baghdadi non ha influenzato il primo turno francese

Daniele Raineri

Le città più colpite dalla sequenza di stragi islamiste votano contro Le Pen. Ecco un paio di ipotesi di lavoro

Roma. Quanti voti ha spostato Abu Bakr al Baghdadi, capo dello Stato islamico, alle elezioni francesi? Quanti voti ha spostato la guerra civile siriana? Venerdì scorso la giornalista Anne Barnard ha scritto sul New York Times un pezzo d’analisi per spiegare che il conflitto in Siria cominciato nel 2011 e dapprima derubricato come una storia di “musulmani che s’ammazzano fra loro” ha finito per avere conseguenze profonde sul resto del mondo. Per esempio, l’arrivo dei profughi siriani a ondate ha rafforzato la destra populista in Europa, ha messo in crisi la tenuta dell’Unione e minaccia di farla saltare (un pezzetto è saltato già a giugno scorso con la Brexit, non è colpa della Siria ma il dossier siriano ha fatto parte di quello scontro). I dati del primo turno dicono che la capacità di condizionare il voto da parte del terrorismo che uccide i civili francesi è meno potente di quel che si può pensare – sempre prestando attenzione al fatto che siamo soltanto al primo turno, quindi non è una questione risolta per sempre.

 

Nel 2002 il Front national arrivò al ballottaggio con il 16,8 per cento dei voti e domenica ci è arrivato con il 21,3 per cento, ma nei ventotto mesi precedenti il paese era stato sottoposto alla sequenza più orribile di attentati islamisti toccata a un paese occidentale dopo l’11 settembre. Ecco un elenco veloce: la strage dentro la redazione di Charlie Hebdo nel gennaio 2015, gli attentati simultanei di Parigi di novembre 2015 (inclusa la strage dentro il Bataclan) l’uccisione in casa di due poliziotti a giugno 2016, la strage di passanti sul lungomare di Nizza il 14 luglio 2016, lo sgozzamento di un vecchio parroco in Normandia due settimane più tardi, fino ad arrivare all’assassinio di un poliziotto sugli Champs Elysées tre giorni prima del voto. In teoria la forza propulsiva a favore del Front national di Le Pen poteva spingere il partito – che è percepito come la risposta dura alla minaccia islamista – più in alto, in pratica non è stato così. Prendiamo le città colpite dal terrorismo, dove le conseguenze su persone e cose sono state più visibili. Parigi era tradizionalmente ostile a Le Pen e non è cambiata: quattro per cento. Tolosa, dove nel 2012 il musulmano fanatico Mohammed Merah seminò il panico per settimane e uccise soldati, passanti e bambini ebrei, ha votato il candidato di sinistra Jean-Luc Mélenchon al 29 per cento, Macron al 27 e Le Pen sotto il dieci. Nizza vota a destra, François Fillon primo arriva al ventisette per cento e Marine Le Pen seconda al venticinque, ma non è una novità: alle presidenziali del 2012 Sarkozy (la destra) era sopra al 60 per cento contro Hollande (la sinistra). Lo Stato islamico con la sua campagna di attentati ha forse aiutato Le Pen dove era già forte, ma non ha invertito i risultati locali. I candidati identitari sono favoriti fuori dalle zone metropolitane e cosi è andata.

  

  

Una spiegazione possibile è che il Front national non è soltanto il partito più duro contro l’islam, ma porta anche altre idee che possono annullare o diminuire l’effetto “anti Isis”. Per esempio, è contro l’euro e contro l’Unione europea, e questo potrebbe fare paura ad alcune fasce di elettori più degli attentati, perché l’uscita dall’Europa riguarderebbe tutti i francesi e per sempre, gli attentati potrebbero cessare (oppure diventare più frequenti: non ci sono certezze).

 

Un altro elemento che va considerato è che un qualunque governo francese è per definizione già in guerra contro lo Stato islamico e non potrebbe fare molto di più di quello che fa già ora. Il socialista Hollande, con un tasso d’approvazione molto basso, è comunque uno dei leader europei più interventisti in Iraq e Siria – i jet francesi bombardano lo Stato islamico in entrambi i paesi, le forze speciali sono in prima linea e il contingente di soldati francesi è secondo soltanto a quello americano. A meno di non inviare la Legione straniera a combattere a Raqqa, ultima capitale dell’Isis – ma non si può per non allarmare i governi dell’area – è difficile pensare a un impegno sul campo diverso da questo, fatto di collaborazione con le forze locali.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)