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In Turchia si vota sul futuro della democrazia

Enrico Cicchetti

Giro per le strade di Istanbul tra gigantografie di Erdogan e incertezza per le sorti del referendum

Instanbul. Niente silenzio elettorale per il referendum in Turchia. Sabato il presidente Recep Tayyip Erdogan teneva gli ultimi quattro comizi in una Istanbul invasa dalle sue gigantografie, per galvanizzare i propri sostenitori e convincere a votare Sì quel 20 per cento di elettori che i sondaggi danno ancora incerti. "Il nuovo sistema rafforzerà l'ambiente stabile e sicuro di cui il nostro paese ha bisogno per crescere", ha detto Erdogan. In un clima piuttosto teso, sotto stato di emergenza e con decine di migliaia di persone ancora in carcere e centomila licenziate dopo il fallito golpe del 15 luglio scorso, i cittadini turchi hanno iniziato a votare alle 8 di questa mattina (le 7 in Italia) per convalidare o cassare 18 emendamenti alla Costituzione.

 

Le schede sono semplici: “Sì” (“Evet”) o “No” (“Hayir”). Striscioni con queste parole coprono tutti gli spazi pubblici di Istanbul. Su quelli governativi campeggiano i volti del presidente e del primo ministro Binali Yildirim, a volte a fianco allo slogan: “Per il nostro futuro”. Gli striscioni contrari mostrano il volto di una bambina sorridente, e uno slogan simile: “Per il mio futuro”.

Se dovesse andare come sperano Erdogan e il partito di governo Akp (fondato da lui), la Repubblica parlamentare turca si trasformerebbe in un presidenzialismo quasi senza contrappesi e il capo dello stato, tradizionalmente un ruolo neutrale e cerimoniale con poche responsabilità politiche, assumerebbe nuovi, sproporzionati poteri, a partire dalla possibilità di nominare, licenziare o eliminare ministri – e altre importanti cariche pubbliche - senza che il Parlamento possa intervenire. La figura del primo ministro scomparirebbe, così come le interrogazioni parlamentari e anche l’attività legislativa passerebbe nelle mani del presidente. Inoltre completa il quadro il potere del capo dello stato di nominare quasi il 70 per cento dei giudici (ora ne nomina meno della metà).

 

Erdogan ha già trasformato il suo incarico in senso più politicamente attivo e autoritario, arrogandosi possibilità impreviste dalla legge dello stato turco, sin da quando divenne il primo presidente ad essere eletto con suffragio universale nel 2014 – in linea con alcune riforme costituzionali passate in un referendum del 2010, fortemente influenzato dalla possibilità di accesso all'Unione europea. Almeno il 40 per cento del paese – religioso e conservatore - lo sostiene. Ha scelto il momento perfetto per il referendum, a pochi mesi dal tentato colpo di stato della scorsa estate, quando buona parte della Turchia si è schierata dietro il suo stendardo.

 

Molti turchi che voteranno “Sì” vogliono una presidenza forte per affrontare il terrorismo e la campagna contro lo Stato islamico in Siria. Alcuni sono ansiosi di evitare il ripetersi dei governi di coalizione che hanno ostacolato la crescita negli anni Novanta e sono stanchi dei frequenti colpi di stato militari. Altri sono musulmani osservanti che applaudono Erdogan per l'apertura di molte nuove scuole religiose e la revoca delle restrizioni di indossare il velo nelle università e nelle istituzioni statali. Vogliono mantenere le riforme con cui, nell'ultimo decennio, il presidente ha dato più spazio alla componente tradizionalmente conservatrice e islamica del paese, prima bistrattata dalle amministrazioni repubblicane.

Basta però spingersi poche decine di chilometri fuori dal centro di Istanbul per iniziare a comprendere la popolarità di Erdogan. Quelle che pochi decenni fa erano baraccopoli, popolate da un'immigrazione interna malvista dall'élite secolare turca, oggi sono quartieri puliti e funzionali. Anche l'economia è risorta dal 2003, anche grazie all'intervento del Fondo monetario internazionale e con l'incoraggiamento dell'Ue, dopo che la crisi dei primi anni Duemila, la terza in un decennio, aveva causato crolli nella valuta e nel pil. E ciò ha permesso alle classi inferiori, religiosamente conservatrici, di guadagnare una posizione di maggiore peso politico. Sono loro la base elettorale del presidente.

Cambiamenti riconosciuti anche dagli attivisti del No, che però sottolineano come le modifiche proposte nel referendum di oggi smantellerebbero la democrazia. Una visione condivisa dalla Commissione di Venezia del consiglio d'Europa, che il 10 marzo ha dichiarato che i cambiamenti “introdurrebbero in Turchia un regime presidenziale che manca dei controlli e dei contrappesi necessari per la salvaguardia contro l'autoritarismo”. Chi voterà “Hayir” teme che la Turchia torni all'epoca del dopo-golpe del 1980, mentre ci sarebbe bisogno di un paese laico, più vicino all'orbita europea. Se all'inizio del governo di Erdogan la Turchia ha fatto progressi verso la democrazia ora i turchi che ricordano le detenzioni e le torture dopo il colpo di stato militare del 1980, dicono che il paese sta ritornando a quei tempi bui.

 

Il risultato delle urne è secondo i sondaggi incerto e proprio per questo l'affluenza potrebbe essere record. Molte società di ricerca concordano nel dire che se superasse l’85 per cento la vittoria del No sarebbe più probabile. Molto peso avrà il voto dei giovani: il governo ha inviato una lettera a 15 milioni di giovani elettori, ricordano che la riforma dell'articolo 76 prevede l'abbassamento della soglia di eleggibilità a 18 anni contro i 25 precedenti. Ma con un tasso di disoccupazione che raggiunge il 12 per cento, molti giovani e universitari compongono una buona fetta dell'opposizione all'Akp.

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