Hassen Chalghoumi. Foto MaxPPP

Confessioni sull'islam dell'imam sotto scorta della banlieue parigina

Giulio Meotti

Parla Hassen Chalghoumi: "Ho dovuto nascondere la mia famiglia e cambiare il loro nome perché combatto l'islam radicale"

Roma. La linea 148 dell’autobus a Parigi si snoda attraverso le periferie di Bobigny, Drancy e Le Blanc-Mesnil. Sono quasi otto chilometri attraverso la banlieue. Da qui, da Drancy, è arrivato Samy Amimour, uno degli attentatori che hanno ucciso 89 persone in un concerto rock a Parigi il 13 novembre 2015, assassinando giovani come lui. Ma fino al giorno prima, Amimour guidava l’autobus sulla linea 148, come impiegato della Ratp, l’autorità pubblica di trasporto della capitale francese. Un suo vicino di casa era l’imam Hassen Chalghoumi. La madre di Amimour andò da lui nel 2012 chiedendo aiuto, dopo aver osservato la radicalizzazione del figlio. Chalghoumi le disse di informare la polizia. Dopo poco, Amimour scomparve in Siria.

 

L’imam Chalghoumi è nato in Tunisia ed è francese dal 2000. Per gli islamisti radicali che lo vogliono morto è “l’imam degli ebrei”. I suoi ammiratori, tanti, lo chiamano “l’imam dei Lumi”, perché Chalghoumi coniuga fede e repubblicanesimo (ha paragonato il burqa a una prigione). E’ stato uno dei primi a dire che un’ondata di orrore stava per sommergere la Francia. Per questo, Chalghoumi, che è anche presidente della Conferenza degli imam di Francia (alternativa a quella dominata dai Fratelli musulmani), oggi tiene i suoi sermoni col giubbotto antiproiettile. Non solo, ma in questa intervista al Foglio spiega che la protezione attorno a lui è stata incrementata. “Per difendere la mia parola devo vivere con attorno quattordici poliziotti francesi, armati fino ai denti, che mi seguono ovunque vada. Ho dovuto anche portare via la mia famiglia in un altro paese e far cambiare loro nome per salvarli dalle minacce. Questa è la situazione che non può continuare in Francia”. Qualche anno fa, con David Pujadas, l’imam ha scritto un libro intitolato “Agissons avant qu’il ne soit trop tard: islam et République”. E’ troppo tardi? “Sono totalmente pessimista, sono anni che denuncio la radicalizzazione dei musulmani, e poi ci sono stati gli attacchi a Charlie Hebdo e quelli a Parigi all’Hyper Cacher e al Bataclan. Speravamo che ci fosse un cambiamento, ma non c’è stato. Ci sono state alcune azioni, ma poca cosa. Paesi stranieri, come Turchia, Algeria, Marocco, Qatar e Arabia Saudita, controllano sempre di più migliaia di musulmani francesi. E queste elezioni francesi ci mostrano che non possiamo sperare in alcun cambiamento, almeno per ora. Non c’è svolta nelle scuole, nelle famiglie, i genitori dicono ai bambini che i non musulmani non andranno in Paradiso. Che futuro può esserci?”. Già, che futuro per la Francia? “Fra dieci, quindici anni se non facciamo il necessario, sarà troppo tardi”, continua Chalghoumi al Foglio. “Il nazionalismo avanza. Tutti cercano soluzioni. Dopo la Seconda guerra mondiale non c’era tutto questo nazionalismo. La mia paura è che ci sarà un confronto fisico fra le comunità, tanti attacchi, e la guerra civile. Gli stessi musulmani hanno paura. E nel 2015, migliaia di ebrei hanno abbandonato la Francia a causa degli attacchi”. Pochi giorni fa, a Belleville, undicesimo arrondissement, la comunità ebraica si è svegliata con un altro fatto terribile di cronaca. Lucie Sarah Halimi è stata aggredita nel suo appartamento da un musulmano che, al grido di “Allahu Akbar”, l’ha accoltellata e gettata giù dalla finestra. Non ha dubbi sulla matrice antisemita il figlio Yonathan, che da Israele ha detto: “Non c’è dubbio che mia madre sia morta perché ebrea. Si deve fare conoscere la verità”. Domenica scorsa si è tenuta una marcia nel quartiere della vittima, alla quale hanno partecipato il presidente del Concistoro  Joël Mergui, il Rabbino capo Haïm Korsia e lo storico Georges Bensoussan.

 

“A Drancy, il quartiere dove vivo, c’è un ghetto islamico, il sindaco cerca di fare qualcosa, ma cosa abbiamo fatto per i vari Samy Amimour, il kamikaze del 13 novembre?”, dice al Foglio Hassen Chalghoumi, imam della banlieue parigina sotto stretta protezione della polizia francese. Che fare, dunque? “La prima cosa da fare per la Francia è investire nell’istruzione, perché sfortunatamente la scuola non fornisce alcuna speranza. L’Isis dà più futuro e speranza a questi giovani, gli promette il paradiso se combattono per l’islam. La cultura deve permeare la scuola, assieme alla scienza e alla storia, per valorizzare le comunità musulmane. Il numero ‘0’ è stato inventato dagli arabi. Devono saperlo i nostri giovani. Gli arabi non conoscono neppure la storia positiva della loro cultura, quello che di buono hanno dato al mondo. Inoltre, la Francia deve fermare la predicazione esterna nell’islam francese, e questo non è stato fatto. L’insegnamento deve cambiare promuovendo imam di stato, imam francesi, e spazzare via l’ideologia dell’odio che viene portata qui dagli imam radicali, e chiudere tutte le moschee salafite e dell’islam radicale. Dobbiamo essere forti in Francia ora, senza paura. Fermare tutto quello che promuove l’odio. Dobbiamo riconquistare i giovani, fare loro capire che sono prima francesi e poi musulmani, renderli orgogliosi della loro storia, identità e nazionalità. Come fedele, non posso pensare che sia tutto finito, ma che sia possibile il cambiamento e la resistenza a favore del bene”. Ma vista dalla linea 148, la Francia non sembra sorridere al futuro.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.