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Dopo San Pietroburgo

La rappresaglia di Assad con le armi chimiche è un messaggio politico

Daniele Raineri

Ora che ha copertura internazionale pure a Washington e Bruxelles, il rais siriano vìola i patti internazionali. “Almeno cinquanta morti”

Roma. A partire da ieri mattina attivisti e medici della provincia di Idlib, nel nord della Siria, hanno cominciato a mettere su internet foto e video che testimoniano un attacco con armi chimiche contro i civili di Khan Shaikhun, una piccola cittadina a sud di Idlib, avvenuto intorno alle sei e mezza locali. Le fonti sul posto parlano di “almeno cinquanta morti” e di centinaia di persone colpite – altre fonti riprese dall’agenzia Reuters dicono che i morti sono di più: 65. Questa strage è più efficiente degli attacchi di routine fatti dal regime nella stessa zona con le rudimentali bombe al cloro, che è una sostanza tossica molto facile da reperire sul mercato e poco letale (per salvarsi basta correre via per pochi metri). Di solito le bombe al cloro uccidono con l’esplosione e non con il contenuto velenoso – che serve più che altro a creare panico e crisi di soffocamento. Nel caso di ieri invece le vittime presentano sintomi simili a quelli riscontrati dai medici dopo il massacro alla periferia di Damasco nell’agosto 2013, quando circa 1.400 persone furono uccise dal sarin, una polvere velenosa che agisce in modo rapidissimo ed è molto difficile da produrre fuori da laboratori militari.

 

Dopo la strage di Damasco il governo siriano accettò un accordo a tre con l’Amministrazione Obama e la Russia che prevedeva la distruzione totale delle sue scorte di armi chimiche, e in effetti ci fu un’operazione internazionale all’apparenza molto stringente per caricare tutte le armi chimiche della Siria su alcuni container e distruggerle a bordo di una speciale piattaforma in mare. Ma a dicembre 2016 il ministro della Difesa israeliano, Avigdor Lieberman, disse in pubblico quello che molte fonti anonime ripetono da anni, che la Siria nasconde ancora quantità di armi chimiche (si parla di sostanze potenti come il sarin, non del cloro che può essere acquistato sul mercato). Israele monitora con attenzione quello che succede in Siria, per evitare che le armi chimiche e altro materiale bellico siano trasferiti al gruppo libanese Hezbollah e per questo compie attacchi aerei ogni poche settimane. Del resto, nel settembre 2013 l’inventario finale dei siti di stoccaggio e delle armi chimiche fu consegnato agli ispettori internazionali dagli uomini del governo di Damasco e nessuno tranne loro può sapere se davvero quattro anni fa su quella lista c’era tutto.


Una bambina uccisa nel bombardamento con arme chimiche di Idlib (foto LaPresse)


Oggi il governo di Assad sa che l’uso di armi chimiche così superiori al cloro e le conseguenze brutali sui civili siriani, sorpresi nelle loro abitazioni al mattino presto, sono una violazione plateale di quell’accordo con la comunità internazionale. Per questo l’attacco va letto anche come un messaggio politico al mondo e per interpretarlo ci sono alcune premesse da ricordare. Uno, il patto del 2013 non ha più quella forza vincolante che aveva prima, perché l’Amministrazione Obama – che comunque non l’ha mai difeso con forza – ha terminato il suo mandato e quella Trump è non-ostile a Damasco (ieri sulla stampa libanese circolava la storiella non confermata di Assad che dà il suo numero di telefono alla deputata americana Tulsi Gabbard, in visita a Damasco a gennaio, così può passarlo a Trump). E contare sulla Russia, che nel 2013 fece da broker, è inutile perché ora Mosca è l’alleato più importante al fianco di Assad nella guerra civile e certo non lo metterà in crisi. Due, il segretario di stato americano, Rex Tillerson, cinque giorni fa in visita in Turchia (quindi in casa di Erdogan, nemico del presidente siriano) ha detto che Assad può restare al suo posto – e il messaggio è poi stato ripetuto dal portavoce Sean Spicer. Tre, l’Unione europea oggi ha in programma una conferenza per la ricostruzione della Siria in cui annuncerà un piano di finanziamenti per miliardi di euro – che passeranno per il governo di Damasco e quindi rafforzeranno lo status quo.

 

Quattro, la Russia alleata due giorni fa ha subìto un orrendo attacco terrorista contro i civili a San Pietroburgo. Cinque, l’area dove è avvenuto l’attacco con armi chimiche non è lontanissima da una zona dove i gruppi armati hanno appena tentato e fallito un’offensiva per spingersi verso sud e conquistare la città di Hama – la manovra è costata all’esercito di Assad molte perdite in uomini e mezzi. L’attacco alla metropolitana e l’offensiva fallita per prendere Hama non sono collegabili ai civili inermi di Khan Shaikhun, ma Assad ha calcolato che ordinare una rappresaglia forte con armi chimiche non porterà a reazioni significative da parte della comunità internazionale (infatti non ci saranno) e che rafforzerà la sua immagine di duro con i nemici soprattutto davanti ai suoi sostenitori. Può punire i civili siriani che abitano in zone fuori dal suo controllo meno di un giorno dopo un attentato in Russia. Nelle interviste che concede con regolarità ai media di tutto il mondo basterà ascoltare le domande, pur ficcanti, e poi limitarsi a rispondere che non è vero.

 

Ieri la Casa Bianca ha accusato Assad per l’attacco con armi chimiche e l’ha definito una conseguenza della politica debole e irresoluta di Obama, ma ha anche detto che il regime change in Siria non è una possibilità. Il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, ha detto di essere scioccato dalle immagini dei bambini che muoiono per soffocamento e ha chiesto alla comunità internazionale di rimuovere quel tipo di arma dalla Siria. “Non ci sono scuse per attacchi deliberati contro i civili, specie con queste armi crudeli e fuorilegge”.


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La zona colpita è in una provincia controllata per intero da gruppi armati anti Assad e dove è molto forte la presenza di Hayat Tahrir al Sham, una fazione che è l’erede di Jabhat al Nusra, la divisione siriana di al Qaida. Per dare un esempio eloquente della situazione: uno dei dottori che ieri riceveva le vittime dell’attacco chimico è il volontario britannico Shajul Islam, che oggi lavora in ospedale ma nel 2012 era pro Stato islamico e fu coinvolto nel primo sequestro del reporter inglese John Cantlie (liberato per intervento dei ribelli e poi rapito di nuovo). Per questa ambiguità letale e diffusa, oggi esperti e giornalisti stranieri non possono raggiungere il sito dell’attacco – a non più di tre ore di automobile dal confine con la Turchia, ieri aperto per ricevere i feriti.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)