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Cosa non si capisce maneggiando la Russia da tifosi

Redazione

Mosca e noi. L'attentato nella metropolitana di San Pietroburgo tra teorie del complotto e fanatismi

Milano. Quando ancora la dinamica di quel che è accaduto lunedì nella metropolitana di San Pietroburgo non era chiara – probabilmente s’è trattato di un attentato suicida, l’autore è un giovane kirghiso – circolavano già molte teorie del complotto, variazioni del tema: quanto fa comodo a Vladimir Putin un attentato in metrò? C’è chi dice che c’entra la volontà di distogliere l’attenzione dalle manifestazioni contro il regime e gli arresti che ne sono seguiti; c’è chi sostiene che la Russia tenti in ogni modo di uscire dall’isolamento in cui si è ritrovata dopo la questione ucraina e un asse internazionale contro il terrorismo le sarebbe molto utile in questo momento. Il complottismo è un tic orrendo, di fronte alle bombe diventa ancora più osceno, e questo vale anche e soprattutto quando si maneggia una leadership tanto complicata come quella di Putin. Allo stesso modo, dall’altra parte della barricata di questo tifo putiniani-antiputiniani che falsa ogni analisi e ogni aspettativa, c’è chi ha detto che questo attentato dimostra come la Russia sia un alleato indispensabile nella lotta al terrore e che le accuse rivolte a Mosca negli ultimi anni – “da anime belle”, come se l’ingenuità fosse plausibile in questo mondo tanto capovolto – hanno di fatto incentivato l’ostilità nei confronti della Russia.

Entrambi gli approcci hanno un che – anzi, moltissimo – di perverso. La politica internazionale di Putin ha posto il resto del mondo di fronte a interrogativi a cui nessuno ha voluto trovare una risposta, lasciando che fossero le ideologie e le tifoserie a dominare il dibattito. Quel che è accaduto in Siria martedì – con l’attacco chimico, gli ospedali devastati e quelle immagini strazianti, ancora una volta – è lì come una prova tragica: Putin sostiene un regime che annienta da sei anni il proprio popolo, e questo sostegno sciagurato non ha portato ad avanzamenti rilevanti e collettivi nella lotta al terrorismo dello Stato islamico. Perché qui non si sta combattendo insieme la stessa guerra.

 

Isolamento diplomatico – Da quando è scoppiata la questione ucraina e la Russia ha annesso la Crimea, tre anni fa, è iniziato un processo di isolamento diplomatico, accompagnato da misure sanzionatorie, che è oggi ancora in corso. L’isolamento è costoso per tutti, russi e occidentali (in particolare per gli europei), sia in termini economici sia in termini geopolitici e questo spiega perché molti interlocutori cerchino via via pretesti per invertirlo. L’invasione russa della Siria è quel che gli esperti chiamano il “game changer”, l’occasione per ritrovarsi insieme, alleati di fatto, nella stessa battaglia: ma la storia siriana non è una storia di collaborazione, tutt’altro. Alle resistenze diplomatiche si sono sommate quelle militari e di intelligence, con il Pentagono americano estremamente restio, per usare un eufemismo, a condividere con la Russia piani e informazioni. E’ il motivo per cui le forze americane operano contro lo Stato islamico in Iraq senza la Russia e il motivo per cui esistono progetti alternativi per riprendere Raqqa, in Siria, in cui non ci sono convergenze operative tra Mosca e il resto del mondo. Le sospette ingerenze russe nella campagna elettorale americana non hanno fatto che esacerbare animi già infastiditi: benché l’Amministrazione Trump sia più aperta a un reset fattivo con la Russia, ancora questa alleanza non si è concretizzata in piani o risorse condivisi (martedì il Wall Street Journal sosteneva che non accadrà presto).

 

Il futuro della Siria, così compromesso dalle operazioni brutali della Russia a sostegno di Assad, è il punto cui guardare per non far sì che siano le tifoserie a condizionare la politica nei confronti della Russia – politica inesistente, se non paese per paese, che poi è quel che vuole Mosca, quando investe sulla destabilizzazione europea. L’Italia chiede di organizzare nuovi tavoli di contatto con la Russia al G7 orfano di Mosca: la diplomazia ha le sue ragioni, spesso quantificabili in denaro, ma funziona soltanto quando si sa bene da dove si parte, e dove si vuole arrivare.

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