Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il leader nordcoreano Kim Jong-un (foto LaPresse)

Chi è più irrazionale e imprevedibile, Trump o Kim Jong-un?

Giulia Pompili

La "follia" del leader nordcoreano e le sedi ancora vacanti a Washington. Perché non si può attaccare Pyongyang, per ora

Roma. In questi giorni la discussione sui media internazionali riguarda un vecchio adagio: l’irrazionalità di Pyongyang e l’imprevedibilità del suo leader, Kim Jong-un. Tutto nasce da un’intervista del senatore John McCain, che il 22 marzo alla Msnbc ha parlato di quel “ragazzino pazzo e ciccione che guida la Corea del nord”: “Non è razionale. Non stiamo cercando un accordo con uno come Stalin, che nella sua barbarie aveva una certa razionalità”. La Kcna, l’agenzia di stampa di Pyongyang, qualche giorno dopo ha riportato la risposta del portavoce del ministero degli Esteri nordcoreano, che ha commentato le parole del senatore McCain definendole “blasfeme”. Poi sul Washington Post Anna Fifield ha scritto che considerare Kim Jong-un un leader irrazionale “è una cosa piuttosto comune” – lo ha già fatto la neoambasciatrice americana alle Nazioni Unite, Nikki Haley. Ma secondo Fifield “non è soltanto sbagliato, dicono gli osservatori e gli esperti. È anche un pericoloso errore di calcolo”, considerato che adesso “l’uomo pazzo al comando” possiede la Bomba nucleare, e probabilmente dei missili balistici in grado di raggiungere il suolo americano. Storicamente molti leader hanno tratto vantaggio dall’essere considerati pazzi, eppure c’è una differenza sostanziale da tenere a mente: “Essere razionali ed essere prevedibili non è la stessa cosa”.

Imprevedibilità, però, è una caratteristica che – almeno sul piano della politica estera – funziona bene pure considerando le dichiarazioni dell’Amministrazione di Donald Trump. Nell’intervista pubblicata ieri dal Financial Times, Trump dice che se la Cina non interverrà sulla denuclearizzazione della Corea del nord, allora gli Stati Uniti risolveranno la questione da soli. Una volontà granitica, già rivendicata più volte da alcuni cinguettii (2 gennaio 2017, su un possibile attacco nucleare nordcoreano: “Non succederà!”; 17 marzo: “La Corea del nord si sta comportando molto male. Ha ‘giocato’ con gli Stati Uniti per anni. La Cina ha fatto poco per aiutare!”).

 

Il segretario di stato Rex Tillerson nel suo viaggio asiatico ha detto che con Pyongyang “tutte le opzioni sono sul tavolo”, parlando indirettamente anche dell’ipotesi di un attacco militare. A parte una serie di bellicosi commenti, atti a mostrare la fine della politica della “pazienza strategica”, dall’insediamento a oggi l’unica azione portata avanti dall’Amministrazione Trump è stata quella di una ennesima implementazione delle sanzioni economiche contro altre undici entità riconducibili alla Corea del nord. Del resto, a due mesi dall’insediamento, a molti osservatori sembra strategicamente impossibile il delinearsi di un attacco militare contro Pyongyang nel breve periodo: come riportato ieri anche da NK News, tutti i ruoli chiave dell’Amministrazione sul fronte coreano sono ancora vacanti. Il segretario per gli Affari dell’Asia orientale non è stato nominato, così pure l’ambasciatore in Corea del sud (poltrona già lasciata da Mark Lippert, che nel 2015 fu aggredito da un militante del gruppo Uri Madang, che sostiene la causa della Riunificazione senza l’intervento di potenze straniere), così il segretario per la non proliferazione e il vicesegretario alla Difesa per gli affari asiatici.

A parte Tillerson e il segretario alla Difesa Jim Mattis – in pratica il Consiglio di sicurezza nazionale – non c’è nessun altro che può prendere una decisione sulla Corea del nord a Washington. E nemmeno in Corea del sud – il paese più a rischio “invasione” dopo un attacco, ha spiegato ieri l’ex segretario alla Difesa Ash Carter – visto che le elezioni per la presidenza si terranno tra un mese. Se le esternazioni di Trump riguardassero solo l’opzione delle sanzioni secondarie (sanzioni economiche su entità cinesi che fanno affari con la Corea del nord) vorrebbe dire che l’intervento militare sarebbe ancora lontano. A meno che Pyongyang non decida di intervenire prima dell’“imprevedibile Trump”.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.