Forze irachene nel quartiere di Alkulat, Mosul (foto LaPresse)

Vantaggio sull'Isis?

Daniele Raineri

Quanto siamo davanti allo Stato islamico in campo militare? Quindici anni soltanto

In questi giorni si parla molto di un bombardamento aereo che, per stessa ammissione degli americani, ha provocato una strage di civili che si erano nascosti in un palazzo di Mosul. Come spesso succede ci sono versioni differenti, a partire dal numero dei morti – forse centocinquanta – per finire con la responsabilità finale: c’è chi dice che Trump ha allentato le regole d’ingaggio e quindi i piloti americani sono meno attenti, c’è chi dice che non è vero, c’è chi dice che è stata invece una bomba piazzata dello Stato islamico – che spesso mina gli edifici per trasformarli in trappole esplosive contro i soldati che avanzano. Il problema orribile è che questa battaglia decisiva contro lo Stato islamico si combatte tra i vicoli di una città araba medievale che ancora offre riparo a mezzo milione di civili, con l’aiuto di armi da guerra che non ammettono il minimo margine di errore.

Dopo una visita al fronte di Mosul c’è una questione ancora più ampia: quanto siamo davvero davanti allo Stato islamico in campo militare? Le forze in campo più o meno si equivalgono, le truppe regolari sono più organizzate, gli estremisti suppliscono con la volontà di morire in battaglia e come diceva un generale russo in Cecenia: come fai a battere un nemico che ogni volta che guarda nella canna del tuo fucile vede il Paradiso? La grande differenza la fanno le bombe di precisione, a guida laser o a guida satellitare, capaci di centrare un bersaglio con meno di un metro di errore. A Mosul i soldati vanno avanti così: le bombe di precisione fanno saltare nidi di mitragliatrici sui tetti, mortai nascosti nei cortili, singole autobombe ferme in agguato – o anche in movimento –, poi le truppe seguono. Senza le bombe, che a volte sono mirate contro il posto sbagliato, non è detto che il conflitto penderebbe così in modo automatico e scontato a nostro favore.

 

Gli estremisti hanno fatto della guerra urbana un’arte, si nascondono nei tunnel, guidano i carri armati, hanno anche i droni per spiare i movimenti dei nemici o per lanciare granate. Quando i libici hanno attaccato lo Stato islamico a Sirte, nell’estate 2016, la loro offensiva si è spenta, non riuscivano a strappare un solo metro in più, subivano troppe perdite. Sono ripartiti soltanto quando a inizio agosto sono arrivati i jet americani. Ora, c’è da fare attenzione alle date: lo Stato islamico è nato nell’ottobre 2006 e il primo uso massiccio di bombe di precisione in guerra è del 1991 guerra del Golfo). Ci sono soltanto quindici anni di differenza tra i due eventi. Senza quei quindici anni, lo scenario poteva essere differente.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)