Emmanuel Macron (foto LaPresse)

La costruzione di un partito macroniano

Paola Peduzzi

Una serata nell’Essonne con i marciatori “dell’uomo del momento”

Saint-Germain-lès-Arpajon (Essonne). Manuel Valls ieri ha dato il suo appoggio a Emmanuel Macron già al primo turno, “una scelta della ragione”, ha detto l’ex primo ministro francese denunciando “la marginalizzazione” cui s’è condannato il candidato socialista all’Eliseo, Benoît Hamon, che pure lo aveva battuto alle primarie. Macron rimedia un altro pezzetto del suo rassemblement, anche se molti sostengono che l’appoggio di Valls avesse senso tempo fa, ora al limite sancisce la frattura definitiva nel Partito socialista.

 

“Ha idee vecchie di quarant’anni, questo partito”, dice al Foglio Gérard Collomb, popolare sindaco socialista di Lione, macronista della prima ora, “prima ancora di sapere che sarei diventato macronista”, aggiunge sorridendo, mentre si presta a strette di mano e selfie a un evento di En Marche! organizzato nell’Essonne, a Saint-Germain-lès-Arpajon, quaranta minuti di treno da Parigi, molte villette con le primule in giardino e molti capannoni. “I socialisti non ragionano più da molto tempo – dice Collomb – E invece abbiamo bisogno di pensare, di proporre idee per il mondo di oggi: buttandosi all’indietro si perde”. Qui, in questa sala in cui di solito si festeggiano i matrimoni e tutto è un po’ troppo lucido, all’indietro non guarda nessuno, anzi, si parla soltanto di avvenire. In prima fila, per ascoltare Collomb, “surrogato” ambitissimo di Macron perché argomenta le idee progressiste con chiarezza e con grandi circoli delle mani, teatralissimo, ci sono alcuni leader dell’Essonne, sindaci cresciuti nel mondo socialista e ora macroniani. Anche il senatore della regione, Michel Berson, che alle primarie aveva votato per Valls, ora marcia con Macron: “E’ Emmanuel l’uomo, il progetto del momento”, dice.

 

Ci sono anche alcuni esponenti del Modem, il partito di François Bayrou che sostiene Macron: sono, come si dice, “la copertura a destra” al progetto di En Marche!, che sembra pendere più a sinistra (ma di queste categorie “vecchie” è vietato parlare). “Ah non è vero – dice Collomb – E’ che i Républicains faticano di più a esporsi, ma ci sono gli alleati di Alain Juppé che stanno con Macron, e anche alcuni filloniani”. Ma i giochi di palazzo, a questo incontro di militanti di una forza che fino a un anno fa non c’era – En Marche! nasce il 6 aprile del 2016 – suonano lontanissimi: qui si contano i bicchieri per la festa, “basteranno?”, si prendono le bottiglie lasciate in macchina al fresco, si cercano volontari per il bancone, si gonfiano tantissimi palloncini, blu bianchi e rossi, i colori della Francia, e su quelli blu ci sono anche le stelle europee, perché “l’Europa per noi è importante”, dice Laetitia Romeiro Dias, che è la padrona di casa, l’organizzatrice dell’evento e della campagna macroniana nell’Essonne. 

 

Si sogna per le presidenziali, ma si pensa con preoccupazione alle legislative d’inizio estate: se Macron ce la fa, “siamo noi che dobbiamo dargli la forza per governare bene”, dice un’altra militante, che per tutta la serata non starà seduta un attimo. Ma come fa un movimento a diventare partito presidenziale nel giro di pochi mesi? “Non mi ero mai impegnata in politica – dice Laetitia – e ora ogni fine settimana sono per strada a spiegare il progetto di Macron. Rispondiamo alle domande, creiamo occasioni di confronto, facciamo porta a porta, e poi organizziamo gli eventi come questi”, aggiunge, ed è agitata, perché tra poco salirà sul palco e, come un po’ tutti qui, non ci è affatto abituata.

 

Iscriversi a En Marche! è facile, non si paga nulla, basta dare il proprio nominativo, pochi campi da compilare, e questo aiuta molto i comitati locali sparsi sul territorio francese, “se l’idea ti piace, sei subito nella comunità”, dice Floriane, mostrando le foto dell’ultimo fine settimana, un tripudio di bandierine europee su un piccolo banchetto al sole. Ma com’è parlare di Europa alle persone? Fino a poco tempo fa nessuno si sarebbe sognato di mettersi a discutere dell’Europa nelle strade, come forma di corteggiamento politico poi, “e invece ora ne parliamo spesso – dice Laetitia – perché senza Europa saremmo tutti più soli, e questo non è così difficile da spiegare”. Nelle zone più rurali la Politica agricola comune, bestia nera di Bruxelles, ha il suo fascino, e ai giovani si racconta l’Erasmus, “o quanto costava telefonare, cambiare i franchi, viaggiare”, aggiunge Muriel: “Io ho il mutuo in euro e per niente al mondo vorrei ripagarlo con i franchi”, aggiunge, e questo lo capiscono tutti al volo.

 

  

Nei media, nei commenti, Macron vive in uno stato di semi-grazia, ma fatica a scrollarsi di dosso l’immagine del tecnocrate lontano dalle masse, determinato sì, ma distante, ma a questa festa di periferia non si bada alle categorie o alle ideologie, “Macron è pragmatico, En Marche! è pragmatico”, dice un militante, invitando ad abbandonare il modo tradizionale di pensare alla politica. “Siamo la forza politica più grande dell’Essonne, quattromila persone in attività”, dice Laetitia e questo è quel che conta fuori dal palazzo, contarsi e sapere che arriva qualcuno di nuovo, poter continuare a dire: siamo ogni giorno di più. E’ da questi volenterosi che Macron vuole selezionare almeno il 50 per cento dei suoi candidati alle legislative: la gestione delle applicazioni, quattordicimila, non viene fatta dai comitati locali, ma da una “commissione trasparenza” che valuta ogni candidatura e poi manda avanti chi è considerato un rappresentante giusto. Il processo s’è invertito: solitamente il vertice sceglie le sue liste, con En Marche! avviene il contrario, “siamo nuovi anche per questo”, dice Laetitia, ricordando i criteri di selezione rilevanti: più donne, nessun precedente con la giustizia, diversity.

 

Molto politicamente corretto, s’è detto, ma qui dicono che è soltanto “un metodo pragmatico, per avere candidati forti”, le sfumature che piacciono ai commentatori non funzionano alla festa di En Marche!, dove l’unica precisazione per così dire ideologica è questa: “Non siamo centristi. Le categorie destra e sinistra sono saltate, e quindi non c’è più nemmeno il centro, il centro di cosa? La distinzione è tra progressisti e conservatori, e noi siamo progressisti”, spiega Laetitia. Gérard Collomb, il sindaco di Lione che con le parole è abilissimo, dice “non siamo centristi siamo centrali”, e non si sente di aggiungere molto altro, perché ora la linea di Macron è: umiltà, si combatte voto per voto, fino all’ultimo giorno, sentirsi vincenti è l’errore più grande. Nulla è deciso, si sa, i sondaggi sono sondaggi: non è che questa è un’altra grande, entusiasmante illusione? Non è facile fare questa domanda con la musica alta della festa, ma appena fuori, aspettando di tornare tutti a casa, Muriel ammette che c’è preoccupazione, che l’eccitazione è grande ma anche la paura: “L’unica chance è questa”, dice, non è che ti ricapita di essere un movimento neonato e dover giocare a fare il partito del presidente. Cioè se non si vince adesso è finita? “Per me certamente, ma credo un po’ per tutti – dice – Poi En Marche! potrà diventare qualcosa di diverso, ma è ora che ci giochiamo tutto”. Scoppia un palloncino, tutti saltano via, poi ridono, “chissà se è un buon segno”, dice un ragazzo, e un altro aggiunge, come se dovesse giustificarsi: “Cerchiamo di interpretare qualsiasi cosa, vorremmo sapere ora come andrà a finire”.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi