Un murales dell'artista Bambi con Theresa May e Donald Trump (Foto LaPresse)

Il presidente furioso

Paola Peduzzi

L’ossessione di Trump per il “deep state” diventa cortocircuito istituzionale. Il nuovo “travel ban”

Milano. Hollywood non basta più, scrive il Wall Street Journal, “The Manchurian Candidate” o “Sesso e potere” non sono all’altezza di quel che sta accadendo nella realtà dell’Amministrazione di Donald Trump. I giornali americani si divertono a determinare quale sia la serie tv che meglio rappresenti l’attualità e posizionano in vetta “The Americans”, che racconta la storia di una coppia di spie russe negli anni Ottanta in America, e “Homeland”, che nella nuova stagione racconta i servizi deviati che si ribellano al nuovo presidente, forse un po’ anche a quello uscente, il famigerato “deep state” che prima emergeva soltanto nei siti complottisti e che ora è diventato mainstream – l’ossessione principale del presidente Trump. Il quale difende la sua ultima tweetstorm, quella in cui chiede alle commissioni Intelligence del Congresso, già alle prese con il dossier delle ingerenze russe, di indagare il “bad and sick guy” Barack Obama, novello Nixon colpevole di aver fatto sorvegliare le comunicazioni da e per la Trump Tower, prima delle elezioni. Ma le prove?, chiedono politici e commentatori. Le troveremo, assicurano i trumpiani, voi oggi ridete ma poi non riderete più quando quel che per ora è una suggestione del commentatore radiofonico Mark Levin ripresa da Breitbart verrà confermata dalle inchieste.

 

Il cortocircuito mediatico e istituzionale è fuori controllo: finora i leader politici lavoravano per governare la foga mediatica, scrive il New York Times, mentre oggi Trump la alimenta, nel modo più provocatorio possibile. Tra le agenzie d’intelligence, il paradosso è, se possibile, ancora più estremo: James Comey, il capo dell’Fbi che durante la campagna elettorale aprì un’inchiesta poi rivelatasi senza sostanza contro Hillary Clinton, diventando il nemico pubblico dei democratici e un “tremendous guy” per Trump, ora chiede al dipartimento della Giustizia di rispondere a Trump e di dirgli che le sue accuse contro Obama sono infondate. Il dipartimento di Giustizia non reagisce alla richiesta, sarebbe piuttosto imbarazzante smentire il proprio boss pubblicamente, e così l’impasse istituzionale, che già è profonda visto che Trump ignora procedure e consultazioni, s’allarga sempre più. I leak intanto non si fermano, alimentando l’ossessione trumpiana per il “deep state”, mentre un lungo articolo del Washington Post cita 17 fonti per ritrarre un presidente “furioso” per come si stanno gestendo persone e indiscrezioni. “Nuts”, fuori di testa, è un altro termine che compare sui tabloid e sui media, e di questa furia trumpiana restano le accuse incendiarie a cui si sommano le nuove proposte, come il nuovo executive order sull’immigrazione, firmato ieri, che bandisce dai confini americani per 90 giorni i cittadini di sei paesi a maggioranza musulmana, esclusi Iraq e Arabia Saudita. C’è chi sospetta che la tattica comunicativa sia in realtà raffinata: distrarre dai propri problemi e insinuare che siano i nemici ad averli, i problemi. Cercando un punto fermo s’alza un coro di razionalità: qualcuno si comporti da adulto responsabile, se quel qualcuno sono i leader delle commissioni Intelligence di Camera e Senato, bipartisan, sarebbe meglio.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi