Donald Trump (foto LaPresse)

Taglia e impera. La strategia della spesa militare di Trump

Martedì notte il presidente parla al Congresso. Dicono che farà un discorso ottimista, ma lui ha sempre smentito i leak. L’attacco di Bush

New York. Il bilancio che Donald Trump ha dato mandato alle agenzie federali di studiare prevede di realizzare il motto trumpiano “more with less”, con l’eccezione ampiamente anticipata della spesa militare. Il budget del Pentagono dovrebbe aumentare di circa 54 miliardi di dollari, un balzo in avanti del dieci per cento che dovrebbe portare alla materializzazione di un’altra massima, a un tempo antica e reaganiana: “Peace through strenght”, la pace si ottiene attraverso la forza. Le coperture per questo “storico” aumento delle spese per la difesa si trovano in una specie di taglio lineare lungo tutte le agenzie e i programmi assistenziali, a eccezione della copertura sanitaria per gli anziani e la pensione minima. Sono programmi politicamente troppo sensibili per poter essere mutilati, specialmente per un presidente che non è arrivato alla Casa Bianca sbandierando la sua ortodossia di affamatore della bestia. I tagli più significativi e politicamente più spendibili saranno nell’ambito degli aiuti ai paesi stranieri, i deprecati “foreign aid” che sono la quintessenza del negoziato svantaggioso che l’artista del deal depreca. I miliardi di dollari che l’America versa ogni anno agli alleati non servono nemmeno a guadagnare il rispetto, per non dire la simpatia, delle popolazioni che beneficiano di un diluvio di dollari. Il peggiore degli investimenti.

 

L’innalzamento della spesa militare è stato a lungo promesso da un presidente che vuole risanare un esercito “esaurito”, “distrutto” e intende tornare a vincere. Il presidente ha ricordato che quelli della sua generazione sono cresciuti dicendo che l’America non aveva perso nessuna guerra, mentre oggi la più grande potenza della storia umana non sembra più in grado di vincere una guerra. Per la verità, nel 1968, mentre Trump si laureava, è partita l’offensiva di Tet contro le forze americane in Vietnam, una prova piuttosto chiara del fatto che la guerra non poteva essere vinta. Sviste storiche a parte, la strategia dell’aumento della spesa militare si accorda con la filosofia dell’“America First”, fatta di autorità e deterrenza, e se con una mano la Casa Bianca mette denaro sulla forza militare, con l’altra implora gli alleati di fare di più. E’ stato questo il messaggio portato dai messi trumpiani alla Nato nel primo round di missioni oltreoceano, in linea con quello di Obama. Un secondo motivo per cui Trump giudica conveniente un investimento sul Pentagono è che i ranghi militari sono fin qui il collante di un’amministrazione sfilacciata e torturata dai leaks. l segretario della Difesa, il generale Jim Mattis, assieme al consigliere per la sicurezza nazionale, H.R. McMaster, e il segretario per la sicurezza nazionale, John Kelly, sono le figure autorevoli che tengono la barra dritta quando i lealisti minacciano sterzate brusche.

 

A coadiuvare il consiglio “moderato” di Trump c’è Rex Tillerson, outsider venuto dal mondo degli affari. Si vedrà quali altre voci di spesa potranno essere tagliate e come questo si combinerà con la politica fiscale e la promessa revoca dell’Obamacare, un “tema incredibilmente complesso”, e già nel discorso a camere riunite di questa notte Trump potrebbe dare indicazioni in questo senso. In vista del debutto di Trump al Congresso, i suoi hanno passato ai giornali il solito messaggio che passano in questi casi: sarà finalmente presidenziale, moderato, ottimista. Trump ha sempre smentito dal podio il cambio di rotta annunciato alla vigilia con toni e concetti concepiti per galvanizzare i militanti, non per unire il paese. A rimarcare le falle dell’Amministrazione ci ha pensato lunedì anche George W. Bush, che in un’intervista ha attaccato il “travel ban”, il trattamento dei media (“indispensabili per la democrazia”), le connessioni con la Russia e la politica sull’immigrazione. In pochi minuti ha criticato Trump più di quanto abbia criticato Obama in otto anni. 

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