Donald Trump (foto LaPresse)

Trumpiani sauditi

Daniele Raineri

Perché si capisce che fra Trump e principi sauditi c’è simpatia (ma non erano clintoniani?)

Roma. Quando la settimana scorsa il direttore della Cia nominato da Trump, Mike Pompeo, è comparso nella capitale saudita Riad nel corso suo primo viaggio e ha premiato l’erede al trono per i suoi sforzi contro il terrorismo, tutti abbiamo potuto cominciare a farci un’idea di come sono i rapporti tra la Casa Bianca e la Casa dei Saud, ovvero i regnanti sauditi: molto amichevoli, più di quanto si potesse prevedere durante la campagna elettorale. Certo, il principe Mohamed bin Nayef premiato dal direttore della Cia è davvero un campione della lotta al terrorismo e ha mostrato una tale efficacia contro gli estremisti domestici e all’estero che il più abile bombarolo di al Qaida in Yemen, Ibrahim al Asiri, ha provato ad assassinarlo mandandogli suo fratello minore con la scusa che voleva pentirsi e rivelare informazioni sul gruppo – e aveva una bomba nascosta nel retto (il fratello è morto, Bin Nayaf no). Ma l’iniziativa conferma una simpatia discreta che si era già compresa dopo che l’Amministrazione Trump aveva escluso l’Arabia Saudita dalla lista dei sette paesi a rischio terrorismo dell’ordine esecutivo conosciuto come muslim ban – poi annullato da un giudice federale americano. E pensare che in campagna elettorale uno dei cavalli di battaglia dei trumpiani contro Hillary Clinton erano i suoi rapporti con i sauditi – la senatrice aveva accettato donazioni destinate alla Fondazione Clinton – e che nel clima da apocalisse politica erano presentati sotto una luce sinistra, per far intendere che la Clinton era la candidata manipolata dai sauditi. Nel frattempo, nella stessa campagna Trump registrava otto compagnie commerciali in Arabia Saudita, ma la notizia è venuta fuori soltanto a gennaio, quando ormai i giochi per la presidenza erano già fatti. Come sempre, corsa elettorale e governo sono cose diverse.

 

Il punto è che l’Amministrazione Trump è orientata con forza a un confronto contro l’Iran e accusa l’Amministrazione precedente di Barack Obama di essere stata troppo soffice e cedevole con Teheran. In questa contrapposizione destinata a inasprirsi, i sauditi diventano partner naturali perché assieme a Israele sono i rivali più forti dell’Iran nella regione mediorientale. Nella prima settimana del mandato l’Amministrazione Trump ha parlato di intensificare l’intervento militare in Yemen a fianco dei sauditi e contro i ribelli considerati filoiraniani. E questo non è che un frammento di quello che potrebbe succedere. Un articolo del 15 febbraio del Wall Street Journal rivela che l’America sta esplorando l’idea di creare un’alleanza militare che include i regni sunniti del Golfo – inclusi i sauditi – e Israele, che avrebbe come primo obbiettivo quello di condividere intelligence. Suona come fantascienza, perché l’Arabia è ovviamente un paese arabo e quindi non ha relazioni diplomatiche con Israele, ma il 19 febbraio alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco il ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman – come definirlo? Il contrario di una colomba – ha detto di essere preoccupato perché l’Iran sta tentando di indebolire l’Arabia Saudita e ha chiesto dialogo con i regni sunniti per battere gli elementi “radicali” nella regione. Avrebbe potuto dire soltanto “per battere l’Isis”, ma non si riferiva soltanto all’Isis. “La vera divisione non è fra ebrei e musulmani, è fra estremisti e moderati”, ha detto, e ha aggiunto che si aspettava un commento del ministro degli Esteri saudita, Adel al Jubeir. Il ministro saudita ha replicato che “il 2017 potrebbe essere l’anno della pace fra l’Arabia saudita e Israele”. Capito lo schema?

 

Il sito trumpiano per eccellenza, Breitbart, ha lodato questa intesa embrionale come effetto della presidenza Trump. L’Iran comprende cosa sta succedendo, ovvero il materializzarsi di un bizzarro fronte unico contro Teheran, e infatti il capo delle Guardie rivoluzionarie iraniane due giorni fa ha detto che il paese è pronto “a dare uno schiaffo in faccia all’America”. Anche i russi – che degli iraniani sono alleati, vedi guerra in Siria – capiscono dove si sta andando a parare e infatti ieri un editoriale di Russia Today, sito governativo, protestava che “non è l’Iran il paese principale sponsor del terrorismo, è l’Arabia saudita”. 

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)