il presidente Abdel Fattah al Sisi (a destra) e Sheik Ahmed alTayeb, gran Imam di al Azhar

Al Sisi e al Azhar allo scontro finale. Che ne è della “rivoluzione religiosa”?

La diatriba sul divorzio tra sheikh e presidente

Roma. Lo sheikh contro il presidente: da giorni, i giornali egiziani raccontano una crisi che sta diventando ogni giorno di più uno scontro tra il rais Abdel Fattah al Sisi e Ahmed al Tayyeb, grande imam di al Azhar, tra le più prestigiose istituzioni dell’islam sunnita. L’ultimo capitolo di un confronto latente da anni è iniziato in tv. Durante un discorso pubblico, il presidente si è rivolto allo sheikh, chiedendo di appoggiarlo nella sua volontà di mettere fine al divorzio verbale: secondo la tradizione islamica è possibile ripudiare una moglie ripetendo tre volte la frase “Divorzio da te”. “Lei mi fa penare”, ha detto il rais sorridendo al grande imam in platea. Al Sisi, sostenuto dal Parlamento che ha allo studio una legge, vorrebbe arginare l’alto tasso di divorzi in Egitto: su 900 mila matrimoni l’anno, il 40 per cento terminerebbe con una separazione, secondo i dati dell’Agenzia nazionale delle statistiche, anche se non è provato che questo avvenga per via del persistere della pratica del divorzio orale. Il Consiglio superiore dei dotti di al Azhar ha risposto con un “no” alla proposta, edulcorato dalla dichiarata volontà dell’istituzione religiosa di voler cooperare con la politica nella stesura di una legge che tenga conto delle tradizioni islamiche.

  
La diatriba sul divorzio è l’ultimo capitolo di un rapporto tra il presidente e i vertici della moschea e università di al Azhar sempre più accidentato. Nel luglio 2013, lo sheikh al Tayyeb è comparso a fianco di al Sisi dopo la deposizione del presidente dei Fratelli musulmani, Mohammed Morsi, eletto l’anno prima, in seguito alla rivoluzione del 2011. La presenza del grande imam legittimava la messa da parte degli islamisti, l’ascesa del futuro presidente. Tuttavia, nei mesi successivi è diventato evidente il disagio del grande imam davanti alla vasta repressione dei Fratelli musulmani da parte del nuovo regime. Al Azhar, che si vuole istituzione se non moderata quantomeno disponibile al dialogo, non è struttura monolitica e al suo interno ospita diverse tendenze: da sostenitori della Fratellanza a elementi salafiti a figure tradizionaliste o riformiste.

 
Due anni fa, il presidente al Sisi, impegnato in una campagna contro gruppi estremisti attivi nell’instabile penisola del Sinai che hanno più volte colpito anche il Cairo, ha chiesto, in un discorso ripreso in tutto il mondo, l’appoggio di al Azhar nella lotta al radicalismo, una “rivoluzione religiosa”. L’opposizione all’intromissione del rais in questioni slegate alla lotta al terrorismo, come il diritto di famiglia, dimostra come al Azhar voglia indicare la linea da non oltrepassare tra religione e politica.


Le tensioni sono presenti da mesi anche sui metodi del “rinnovamento del discorso religioso” chiesto dal rais: al Sisi, con l’azione del ministero dei Beni religiosi, negli ultimi anni ha licenziato 55 mila imam non “certificati” da al Azhar, accusati di diffondere idee radicali, e ha imposto il tema dei sermoni del venerdì. A luglio, s’è trovato contro l’università quando ha richiesto l’introduzione di sermoni scritti in anticipo e uguali per tutte le moschee. Al Azhar ha parlato di “superficializzazione” del pensiero dei propri imam. Il “no” sul divorzio è un ulteriore ostacolo ai piani del presidente. La stampa vicina al regime, e non soltanto quella, ha iniziato a chiedere le “dimissioni” del grande imam che si oppone alla politica. Il giornale Tahrir, nato dopo la rivoluzione del 2011, ha rivelato che il Parlamento starebbe valutando un cambiamento nel meccanismo di elezione dello sheikh. Dai tempi di Gamal Abdel Nasser, il grande imam di al Azhar è a nomina governativa (al Tayyeb è stato scelto da Hosni Mubarak). Dopo aver appoggiato al Sisi durante la caduta di Morsi, il Consiglio supremo delle Forze armate, protagonista della rimozione dell’ex presidente, fece una concessione alla moschea, che rivendica da decenni maggiore indipendenza: l’elezione dello sheikh è dal 2012 faccenda interna ad al Azhar. Un nuovo cambio di corso sarebbe un segnale profondo dello scontro in atto tra religione e politica.