A destra, Fayez al Serraj (foto LaPresse)

Cosa fa un signore della guerra libico in hotel a Roma? Negozia

Daniele Raineri

Il governo italiano è impegnato in trattative fitte per frenare la spirale distruttiva che a Tripoli minaccia il governo Serraj

Roma. Una fonte libica dice al Foglio che mercoledì a Roma c’era Haitham al Tajouri, capo della Brigata rivoluzionaria di Tripoli, all’hotel Ambasciatori Palace – che è spesso usato dall’ambasciata di Libia in Italia per i suoi ospiti. Al Tajouri è uno dei signori della guerra più potenti di Tripoli ed è anche un nemico del “quasi premier” Fayez al Serraj, che l’Italia sostiene con tutto il suo peso diplomatico – ci sono anche gli uomini di al Tajouri dietro ai due semi golpe che negli ultimi mesi hanno sottratto al governo di Serraj alcuni ministeri. Se il comandante era a Roma, vuol dire che c’era l’autorizzazione dell’Italia e in questo caso la domanda è: per discutere cosa? Oggi a Roma arriva – per due giorni – Ahmad Meitig, vice tuttofare del primo ministro Serraj, che appartiene all’altro schieramento.

 

L’impressione è che il governo italiano sia impegnato in trattative fitte per frenare la spirale distruttiva che a Tripoli minaccia di distruggere il governo Serraj, appena un mese dopo la scommessa su di esso fatta dal premier Paolo Gentiloni e suggellata da una visita ufficiale nella capitale libica del ministro dell’Interno Marco Minniti. La situazione a Tripoli è in bilico, per usare un eufemismo: milizie rivali si stanno affrontando con cannoni e carri armati nella parte ovest, e la stabilità in centro è affidata alla Forza di deterrenza, che è una milizia filogovernativa molto potente e pure molto islamista. In queste condizioni di quasi golpe permanente, mentre è sconsigliato girare di notte – ma anche di giorno – per le strade, Serraj dovrebbe rispettare l’accordo per fermare il flusso di migranti verso le coste italiane a bordo di barconi, che è molto forte a dispetto della stagione invernale. L’accordo per trattenere i migranti vale soltanto per la Tripolitania, a ovest, e non per la Cirenaica, a est, perché Tobruk l’ha respinto come nullo (la ragione addotta è che è stato siglato con Serraj, che a Tobruk considerano un non-primo-ministro).

 

Così, mentre una squadra di tecnici dell’Enac italiana, l’Ente nazionale per l’aviazione civile che si occupa della sicurezza aeroportuale, è atterrata due giorni fa all’aeroporto Mitiga di Tripoli per verificare che ci siano le condizioni per riaprire la tratta diretta Roma-Tripoli, la capitale vive ogni giorno come se da un momento all’altro ci potesse essere un rovesciamento di governo. Lunedì l’ambasciatore italiano in Libia, Giuseppe Perrone, era a Tobruk, nell’ambito di uno sforzo rinnovato da parte di Roma, Bruxelles e Mosca per far accettare al generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica, un ruolo in un governo unitario della Libia. Anche Federica Mogherini, capo della diplomazia europea, ha detto di aspettarsi molta flessibilità da parte di Tripoli, come a dire: cerchiamo di accontentare Haftar.

 

Il generale ha davanti tre scelte possibili: accettare una carica importante, continuare a esercitare il suo potere nella metà est della Libia, oppure muovere per prendersi tutto il paese, con l’aiuto della Russia. Secondo un’analisi pubblicata ieri dal sito del think tank Jamestown Foundation, che è vicino al governo americano, l’Italia è entrata in modalità “attesa”: aspetta di capire cosa farà la Russia, se agevolerà i negoziati per riconciliare Tobruk con Tripoli oppure se getterà tutto il suo peso militare dietro a Haftar e lo appoggerà nella conquista di tutto il paese – che poi è la conquista della capitale Tripoli, il resto potrebbe seguire (eccetto Misurata, città più anti Haftar della Libia). Non è detto, spiega l’analisi, che la Russia abbia tutto questo interesse a impelagarsi in una nuova campagna violenta in Libia mentre ancora è occupata con la Siria, dove le cose sono ancora lontane dall’essere risolte. Certo, se decidesse di spingere Haftar verso la riconciliazione, sarebbe una pressione importante, ma allora perché non l’ha fatto finora? Come in altri settori del mondo, si aspetta che l’Amministrazione Trump prenda una decisione. 

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)