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Trump, Abe e la diplomazia del golf. Sembra quasi il 1957

Giulia Pompili

Il nonno di Shinzo Abe venne invitato da Eisenhower per una partita: il Giappone ne uscì con la militarizzazione di Okinawa

Roma. Nel giugno del 1957 il primo ministro nipponico Nobusuke Kishi, nonno materno dell’attuale primo ministro del Giappone Shinzo Abe, fece la sua prima visita di stato in America per incontrare l’allora presidente americano Dwight Eisenhower. Durante le fasi di preparazione del viaggio, il segretario di stato americano John Foster Dulles inviò un telegramma all’ambasciatore americano a Tokyo, Douglas MacArthur II – nipote del generale che guidò gli Stati Uniti nella guerra del Pacifico – nel quale scriveva: “Al presidente piacerebbe organizzare una partita di golf con Kishi per il pomeriggio del 20 giugno, anche se il presidente dice che le sue abilità nel golf sono diventate indegne e spera che Kishi non sia un esperto”.

 

Il giorno dopo, MacArthur aveva risposto alla richiesta della Casa Bianca: “Quando ho incontrato Kishi gli ho riportato il vostro invito. Era visibilmente felice, e ha detto che non si sarebbe mai aspettato una cosa del genere. Ha accettato con enorme piacere e mi ha detto di rassicurarvi perché non è un ‘giocatore esperto’”. Qualche settimana dopo, le immagini di Kishi sui campi da golf insieme con Eisenhower divennero il simbolo della “diplomazia del golf”, perché negli anni Cinquanta i rapporti tra Giappone e Stati Uniti erano piuttosto complicati e la visita del primo ministro giapponese era “l’inizio di una nuova èra nei rapporti tra i due paesi”. Dopo il golf (nel quale “ha vinto solo la diplomazia”, scrisse il New York Times in prima pagina), i due leader fecero uscire una dichiarazione congiunta nella quale riconoscevano il “comunismo come principale minaccia dell’area” e firmarono uno storico accordo che portò i militari americani a costruire le basi nell’arcipelago di Okinawa. Kishi però è un personaggio controverso della storia del Giappone: pur avendo avuto un ottimo rapporto con Washington durante i suoi anni da primo ministro, in passato era stato accusato dal tribunale a guida americana di essere stato uno dei “criminali di guerra” giapponesi. Kishi era un vero nazionalista, e si opponeva alla Costituzione pacifista imposta dagli americani al Giappone dopo il 1945. Durante le negoziazioni del ’57, il primo ministro dovette rinunciare a cambiare la Carta in cambio di un nuovo trattato sulla sicurezza tra Tokyo e Washington (un passo indietro che gli costò la carica, oltre ad aver provocato le più grandi proteste della storia del Giappone moderno).

 

Oggi, suo nipote Shinzo Abe non ha altre figure di riferimento all’infuori di lui e dell’ex primo ministro Junichiro Koizumi. Abe cita spesso Kishi nei suoi discorsi. L’ha fatto nel 2015, quando ha parlato al Congresso americano, e l’ha fatto ieri prima di lasciare il Giappone per andare in visita di stato dal nuovo presidente americano, Donald Trump: “Una volta”, ha detto Abe ai giornalisti dall’aeroporto, “mio nonno mi raccontò del suo incontro sul campo da golf con il presidente americano, e mi disse: ‘Quando ho visto Eisenhower sconvolto per aver mancato un colpo proprio di fronte a me, ho avvertito che la distanza tra noi si era improvvisamente accorciata”, e poi ha aggiunto Abe: “Spero di costruire un forte rapporto di fiducia con Trump al di fuori del lavoro”. Sono mesi che tutti i consiglieri di Tokyo stanno studiando il tycoon divenuto presidente. Si dice che sul comodino di Shinzo Abe ci sia una copia di “L’arte di fare affari”, l’autobiografia di Trump del 1987, e che molti stiano iniziando a capire che non tutto quello che dice il presidente è da prendere alla lettera, com’è invece nella tradizione politica giapponese. Per Shinzo Abe il problema non è la partita di golf, essendo un assiduo giocatore. Piuttosto, è convincere Trump della necessità di una politica di contenimento della Cina seria, scongiurando una guerra; della incapacità del Giappone di sostenere altre spese militari, e delle fake news diffuse da Trump sulla manipolazione dello yen da parte della Bank of Japan.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.