Rupert Murdoch con l'ultima moglier Jerry Hall (foto LaPresse)

L'influenza di Murdoch su Trump, e ritorno

Paola Peduzzi

Rupert vigila sulla presidenza di The Donald. Chiacchiere inglesi e americane su questa liaison

Milano. C’era anche Rupert Murdoch in persona all’intervista che Michael Gove ha fatto a Donald Trump sul Times, il 16 gennaio scorso, la prima intervista di un quotidiano britannico al presidente americano. Ieri il Financial Times ha scritto che due sue fonti hanno confermato che Murdoch, che del Times di Londra è proprietario, era presente a quel colloquio, anche se non compariva nelle foto di rito (Trump e Gove sorridenti e con i pollici alzati). Michael Gove è un ex ministro del governo inglese, sostenitore della Brexit, cacciato dal premier Theresa May e tornato a fare l’editorialista al Times, autore di uno dei più spettacolari tradimenti della storia già piena di voltafaccia che è la Brexit.

 

Amico carissimo dell’ex premier David Cameron, suo consigliere e uno degli architetti del cameronismo, Michael Gove si schierò durante la campagna elettorale a favore della Brexit, tradendo Cameron. A referendum vinto, Gove fece la conta in Parlamento dei voti per la leadership di Boris Johnson, mettendo tutti in riga per favorire l’ascesa dell’ex sindaco di Londra a premier, poi una mattina si presentò davanti ai giornalisti e annunciò: corro io per la leadership. Nei retroscena di quel tradimento si scoprì che a sostenere Gove in quell’avventura fu proprio Rupert Murdoch, che di Johnson non si era mai fidato troppo. L’operazione andò malissimo, la May vinse tutto e Gove tornò a farsi stipendiare dal giornale di Murdoch, nel quale aveva a lungo lavorato anni prima.

 

Quando Gove ha realizzato l’intervista a Trump, lo zampino del capo di News Corp. era apparso subito chiarissimo, ma ora che il Financial Times conferma la presenza fisica di Murdoch all’incontro il legame tra il tycoon australiano e il presidente americano torna di nuovo rilevante. Il mondo Murdoch è legato a quello di Trump da tempo, anche se all’inizio della campagna elettorale americana, un anno fa, Murdoch appariva molto scettico nei confronti di Trump, se non spesso critico. Ci fu anche il caso di Megyn Kelly, anchorwoman di Fox News, a compromettere le relazioni: Trump maltrattò la Kelly in diretta tv, lei divenne la testimonial delle donne contro Trump, ci furono dibattiti snobbati, telefonate non risposte, interventi dell’allora padre-padrone di Fox News Roger Ailes (nel frattempo uscito dal gruppo con un’accusa di molestie sessuali), e un’ennesima frattura nel già stracciato mondo conservatore americano.

 

Oggi Kelly è passata a un’altra emittente, è stata sostituita dal trumpiano Tucker Carlson (si dice scelto personalmente da Murdoch); Ailes ha fatto da consulente a Trump (assieme all’amico Rudy Giuliani), e Murdoch e Trump si sentono per telefono almeno tre volte a settimana (fonte New York Magazine). Negli scorsi giorni, sempre il Financial Times ha rivelato che Ivanka, “first daughter” d’America, è stata fino a poco tempo fa l’amministratore fiduciario delle due piccole di casa Murdoch, Grace e Chloe, minorenni, figlie della ex terza moglie di Murdoch, Wendi Deng. Wendi e Rupert paiono in pessimi rapporti, ma lei è amica di Ivanka da molto tempo, e Ivanka ha da sempre una mondanità piuttosto indipendente dal padre: il New York Times, in un ritratto della figlia prediletta di Trump, ha raccontato che fu proprio Wendi a organizzare la cena riparatrice che portò poi al matrimonio tra Ivanka e Jared Kushner, il genero in chief di Trump. I due si erano lasciati, nemmeno troppo bene: Wendi li invitò in barca e così fecero pace.

 

L’influenza dei Murdoch sui Trump sembra molto grande, e controversa. Al Wall Street Journal, quotidiano di Murdoch, stanno andando in scena, in modo tumultuoso, gli effetti di questo legame. Molti nella redazione del Wsj si lamentano delle ingerenze trumpiane sulla linea, veicolate da Murdoch, e continuano a confidarsi in modo anonimo ad altri media raccontando di pressioni mai accadute prima. Due giorni fa, la storica giornalista del Wsj Rebecca Blumenstein, ha lasciato la testata dopo 22 anni per andare al New York Times: alla festa di addio, la Blumenstein si è rivolta alle colleghe presenti, e ha detto “non mollate”. 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi