Mario Draghi (foto LaPresse)

Il manifesto di Lubiana. Ovvero ragioni per iscriversi al PD: il Partito di Draghi

Claudio Cerasa

L’Europa può sconfiggere il trumpismo con l’apertura. Il governatore della Bce ha indicato la strada da seguire utilizzando l’unico linguaggio possibile per combattere le balle della post verità: i fatti

 

“There are things that need to change in Europe, but there is much we can be proud of as well”. Il duemiladiciassette, si sa, sarà l’anno in cui l’Europa infilerà il suo corpo nel gelido tubo di una risonanza magnetica e nel giro di pochi mesi sarà chiaro se il batterio del sovranismo, il virus del populismo, l’infezione del nazionalismo e il bacillo del protezionismo avranno preso, o no, il possesso del nostro continente. Il partito della chiusura, come è noto, ha oggi un suo leader indiscusso che si trova alla Casa Bianca ed è prevedibile che Donald Trump, il quale non perde occasione per affermare che l’Europa altro non è che una espressione geografica, nelle prossime settimane soffierà forte sulle vele dei partiti anti sistema in Olanda, in Francia, in Germania e forse anche in Italia, triangolando discretamente, magari, anche con la Russia di Vladimir Putin.

 

Le elezioni che si terranno nel corso dell’anno ci diranno se l’Europa riuscirà a offrire una risposta politica e culturale all’internazionale della chiusura, ma nell’attesa di capire quali saranno i risultati nei paesi in cui si andrà a votare nel 2017 c’è un fatto importante che va segnalato, ed è la maturazione all’interno del partito dell’apertura di una leadership definita. Il discorso fatto due giorni fa da Mario Draghi a Lubiana, in occasione del decimo anniversario dell’adozione dell’euro in Slovenia, è stato trattato con sufficienza dai giornali, ma merita di essere ripreso e valorizzato perché rappresenta una testimonianza preziosa di quello che potrebbe essere un manifesto del patriottismo europeo. Il governatore della Bce ha svestito per un attimo i panni del tecnico, ha indossato gli abiti dell’uomo politico e ha indicato le stelle fisse che dovrebbe seguire chiunque intenda portare avanti la rotta del partito dell’apertura, utilizzando l’unico linguaggio possibile per combattere le balle della post verità: i fatti.

 

Punto numero uno: il problema dell’Europa non è l’euro, che ha prodotto benefici attraverso l’apertura del mercato, maggiore stabilità dei prezzi, minori tassi di interesse sul debito, certezze delle condizioni negli investimenti, ma è la mancanza di volontà riformatrice di alcuni paesi europei, che non hanno saputo sfruttare le condizioni favorevoli create dalla moneta unica per riformare le proprie economie.

 

Punto numero due: se un paese ha una bassa crescita della produttività, dovuta a problemi strutturali, la risposta non può essere giocare con il tasso di cambio delle monete, ma deve essere quella di migliorare il processo di integrazione, nella consapevolezza, dice Draghi, che se in questi anni non avessimo avuto in Europa un’apertura dei mercati il nostro continente sarebbe più povero rispetto a come è oggi.

 

Accanto ai dati economici, nel suo discorso contro il pessimismo populista, il governatore della Banca centrale, elemento di rilievo, ha lanciato anche un appello alle classi dirigenti europee per rendersi conto di un fatto importante: uno dei vantaggi dell’integrazione monetaria, ha detto Draghi, è stato quello di accrescere l’influenza europea nel mondo. E il sottotesto del messaggio è che oggi, in un contesto storico in cui i nazionalismi puntano alla disgregazione dell’Europa (il probabile futuro ambasciatore americano all’Ue, Ted Malloch, ieri ha definito l’euro “un esperimento imperfetto”), i politici che vogliono combattere le spinte alla chiusura devono alzare la voce e trasformare l’Europa nell’istituzione simbolo dell’esportazione delle libertà nel mondo. Il quotidiano tedesco Handelsblatt, di solito severo con il governatore della Bce, ieri ha riconosciuto che Draghi “è l’unico rappresentante delle istituzioni europee che sia stato capace, finora, di articolare una visione propositiva in risposta al reflusso sovranista incarnato dal nuovo presidente degli Stati Uniti”. Il vero anti Trump, scrive Handelsblatt, è lui. E chiunque voglia sconfiggere il batterio del sovranismo, il virus del populismo, l’infezione del nazionalismo e il bacillo del protezionismo, da Macron a Merkel passando per Schulz e speriamo anche Renzi, non può che ritirare velocemente la tessera dell’unico PD in salute in Europa: il Partito di Draghi. Noi ci siamo. Voi?

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.