Sulla Brexit deve votare anche il Parlamento, dice la Corte suprema

Paola Peduzzi

Arriva il primo verdetto di giornata (oltre a quello atteso dalla Consulta italiana sulla legge elettorale). Rigettato l'appello del governo May ma l'unico effetto concreto potrebbe essere solo quello di allungare i tempi del divorzio dall'Ue

Il primo atto della sfida istituzionale sulla Brexit dentro al Regno Unito si è concluso con la sentenza della Corte suprema inglese: l’attivazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona, che apre il negoziato per l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, deve essere votato anche dal Parlamento. Otto giudici hanno votato contro l’appello del governo May, tre a favore. Il presidente della Corte, il giudice Neuberger, ha spiegato che generalmente il governo ha il potere di cambiare i trattati comunitari, ma non se questo cambiamento “influenza i diritti dei cittadini”, come nel caso della Brexit. Per questo, nonostante le tante polemiche, il Parlamento nel suo complesso, Camera dei Comuni e Camera dei Lord (che è formata da membri non eletti dal popolo), avrà voce in capitolo sull’attivazione del processo di divorzio dall’Ue.

 

 

Il governo di Theresa May aveva fatto appello alla Corte suprema nel novembre scorso dopo che l’Alta corte aveva stabilito che il governo non potesse decidere in modo autonomo il negoziato sulla Brexit con l’Ue, ma dovesse passare da un voto parlamentare. La decisione fu accolta con parecchio rancore, i giornali pro Brexit misero i tre giudici con le loro parrucche in prima pagina definendoli “nemici del popolo”. Così da quel giorno non si fa che discutere del “privilegio reale” e di altre amenità legali, ma il dibattito in realtà è molto interessante e ci riguarda tutti: il volere del popolo – espresso al referendum – può essere condizionato, forse ribaltato, dai parlamentari, rappresentanti del popolo?


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Al momento, poiché la sentenza della Corte suprema era stata prevista, il governo May ha già preparato il testo della legge che sarà sottoposta al Parlamento. Secondo i commentatori, il testo passerà: il leader del Labour, Jeremy Corbyn, ha detto di non volere un voto contrario, ma la sua posizione non è condivisa da molti parlamentari, che puntano all’astensione. Oggi Corbyn annuncerà un estremo tentativo di mettere in difficoltà la May, ma per il governo la questione è quasi esclusivamente temporale: vuole attivare il negoziato entro la fine di marzo, come annunciato, e l’unico rischio è che i tempi vadano per le lunghe, alterando il calendario del divorzio con l’Ue, che già è parecchio accidentato.

 

"Rispettiamo la decisione della Corte Suprema" ma non cambia il calendario della Brexit: la prima reazione di Downing Street conferma che l'attivazione dell'articolo 50 avverrà "entro fine marzo". Il governo di Londra è "deluso" dalla sentenza, ha detto l'attorney general Jeremy Wright, all'uscita dell'aula, ma illustrerà i suoi prossimi passi a breve in Parlamento.

  

Corbyn invece ha dichiarato che i laburisti non bloccheranno l'attivazione della Brexit ma hanno intenzione di presentare emendamenti in Parlamento diretti a evitare il rischio che il Regno Unito si trasformi in un paradiso fiscale. I laburisti chiedono un "pieno accesso, senza tariffe, al mercato unico e il mantenimento dei diritti per i lavoratori e delle protezioni Ue in tema di diritti sociali e ambiente". Il Labour chiede anche che il governo riferisca al Parlamento durante tutto il processo di negoziato e che l'accordo finale con Bruxelles sia sottoposto al voto parlamentare.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi