Emmanuel Macron (foto LaPresse)

A Parigi c'è un antidoto al cretinismo rivoltoso

Giuliano Ferrara

Emmanuel Macron è un tecnocrate, ha poco glamour e farà fatica ad arrivare al ballottaggio. Ma sta andando forte e dice cose che in sé oggi farebbero scandalo in Europa. Speriamo

Chissà che non arrivi un’altra sorpresa. Ci si crede poco, con l’aria che tira. Però questo Macron, Emmanuel Macron, va forte nei sondaggi e nelle manifestazioni popolari della sua campagna per l’Eliseo. Dubito che arrivi al ballottaggio, piazzandosi primo o secondo. C’è una folla di disturbatori, e tra questi i candidati socialisti e il solito corbyniano d’ordinanza, quello di estrema sinistra. La Le Pen è in un momento complicato, emergono divisioni nel suo movimento di estrema destra-sinistra populista neotrumpiana. Secondo l’ultimo libro di Alain de Benoist, però, è il “momento populista”, e non puoi farci niente. Oddio, nessuno davvero disturba in democrazia, si concorre, si compete, ed è giusto così. Il conservatore gollista e cristiano e putiniano Fillon è un freddo, e si è fatto troppo riconoscere come un tagliatore di posti di lavoro statali e di servizi sociali. La situazione in un eventuale ballottaggio potrebbe considerarsi aperta. Ma bisogna arrivarci, è lì il difficile per uno come Macron, che è un senza partito, senza apparato.

 

Il tipo è davvero strano per la Francia, eppure ha una eco trasversale potente, a quanto sembra. E’ più giovane di Renzi, un trentenne. Di formazione è banchiere della schiatta Rothschild. Un tecnico o tecnocrate. Però si è fatto da solo, partendo dalle famose umili origini. E’ un meritocrate senza esperienza istituzionale, elettiva, mai sindaco, mai deputato, altra stranezza per quel paese. Ha la voce un po’ chioccia, un corpo esile, la moglie era la sua insegnante, non si capisce da dove possa tirare fuori quella specie di carisma, di glamour, che serve a incarnare la nazione e a trascinarla con il fuoco nella pancia. E’ stato consigliere speciale e poi ministro di Hollande nel quinquennato funesto che ha praticamente chiuso nella noia e nel disdoro il partito socialista e la sua classe dirigente, a meno di improbabili sorprese dell’ultima ora. Non sarebbe un grande biglietto da visita, venire in qualche senso da lì, sebbene tirandosene fuori a tempo. Eppure tira, va forte, e in molti cominciano a pensare che non sia una bolla mediatica, come si dice.

 

La facenda veramente curiosa però è un’altra ancora. Macron è stato riservato per adesso sul programma, sulle policies. Ma va dicendo cose che in sé farebbero scandalo a Parigi e altrove. E’ fieramente europeista, in un momento delicatino per l’unione e per la sua popolarità. Aggancia sviluppo, ridistribuzione, creazione di ricchezza sociale alle nuove tecnologie, all’innovazione, al mercato aperto della globalizzazione. Non sono parole d’ordine popolarissime, almeno non lo sono oggi, nell’epoca dei forgotten men, degli american carnage, degli isolazionismi e nazionalismi e di altre bellurie demagogiche di quel tipo. Come mai riempie gli stadi, fa tanto rumore, è considerato un possibile vincente? Macron è un mistero, in un paese che di fronte all’articolo 18 sul mercato del lavoro ha scatenato un movimento di reazione violento e ideologico che la Camusso qui se lo sarebbe sognato. Perfino Cohn-Bendit lo blandisce e lo apprezza. I pronunciamenti in suo favore sono vasti e, appunto, trasversali. E’ la novità che va, che si porta e che si fa largo come tale. Ma il fenomeno agisce su queste basi inaudite per un paese fieramente conservatore, in cui le paure sociali e le schiette parole d’ordine sécuritaire, della destra più tradizionale e della nuova destra, apparentemente furoreggiano.

 

Non bisogna farsi illusioni. Un duello Fillon contro Le Pen è tutt’ora nell’ordine delle probabilità maggiori. Con un risultato nemmeno del tutto scontato in partenza. Eppure questo giovane banchiere globalizzatore, che non è tributario dei partiti e delle tradizioni identitarie così importanti in Francia, questo super-Renzi che non parla solo da sinistra, che scorrazza nel centro moderato, che ha appeal perfino nel Front National e tra i gollisti, oltre che tra i socialisti delusi dall’hollandismo pigro e ininfluente, è l’uomo del momento. E’ possibile che il nuovo registro delle passioni politiche abbia come connotato un’ampia volatilità, non unidirezionale. L’Italia grillina, il paese dello sberleffo e del vaffanculo, ha bocciato Renzi nel referendum ma gli aveva appena dato il 40 per cento alle europee, e sembrava un consenso solido. Brexit means Brexit, d’accordo, ma sono i conservatori del remain, e tra questi la furba Therese Maybe, a guidare il gioco elettorale, non certo l’Ukip di Garage o i poveri corbyniani dell’Old Labour. La Merkel comincia a essere incalzata da Gabriel e dalla Spd, la sua immagine è sfiorata ma non colpita centralmente dai populisti antieuropei di Alternative für Deutschland, almeno fino ad ora. In Spagna quella di Podemos è diventata una storia di galletti e di carini che si beccano tra loro, e salvo sorprese anche lì il vantaggio relativo resta in mano ai popolari, partito di governo e di establishment.

 

L’Europa come antidoto al cretinismo rivoltoso dell’antipolitica? E’ un’ipotesi, al centro della quale sta il giovane banchiere europeista e mercatista che è così lontano dagli opportunismi del socialista Tremonti e delle sue idee furiose, inutili, parasgarbiane, buone per l’inauguration day di un paese ormai lontano e chissà alla fine quanto rilevante per i nostri destini politici. In un’Europa a direzione Merkel-Macron ci si potrebbe stare comodi, senza subire più di tanto l’assedio russo-americano di nuovo conio. Speriamo.

Di più su questi argomenti:
  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.