Il presidente del Gambia, Yahja Jammeh

Perché il Gambia è a un passo dalla guerra civile

Daniele Lettig

Il presidente della Repubblica islamica, Jammeh, ha perso le elezioni ma lamenta dei brogli. E altri paesi africani si preparano all'intervento militare

Milano. A due giorni dalla fine del suo mandato, prevista per giovedì 19 gennaio, martedì il presidente del Gambia Yahja Jammeh ha dichiarato lo stato d’emergenza per i prossimi tre mesi nel paese dell’Africa occidentale, uno dei più piccoli del mondo (il suo territorio equivale a circa un terzo di quello del Belgio). Formalmente, la decisione è stata presa dal Parlamento –  dove però su 53 membri solo uno fa parte dell’opposizione – che oggi  ha approvato anche il prolungamento, sempre di tre mesi, del mandato del presidente.

 

La decisione di Jammeh è solo l’ultimo dei tentativi messi in atto negli ultimi mesi dal presidente per ritardare e ostacolare la transizione dei poteri, dopo le elezioni che si sono svolte lo scorso primo dicembre e che hanno portato a una sua sconfitta inaspettata.

 

Jammeh ha 51 anni e dal 1994 guida il Gambia, che fino al 1965 era una colonia inglese, dopo aver conquistato il potere con un colpo di stato. In questi anni il suo governo ha mantenuto nel paese una relativa stabilità, tanto che le richieste d’asilo presentate da migranti gambiani in Europa vengono solitamente respinte. Il Gambia resta comunque un paese poverissimo, con quasi la metà della popolazione che vive sotto la soglia di povertà. Nell’ultimo periodo Jammeh ha accentuato l'isolamento del paese a causa dei propri atteggiamenti autoritari e di alcune decisioni come quella di uscire dal Commonwealth (nel 2013) o di proclamare il paese una “nazione islamica” (nel 2015). Dal 2014, inoltre, l’Unione europea ha sospeso gli aiuti umanitari al Gambia per le violazioni dei diritti umani denunciate dagli oppositori e da diverse organizzazioni umanitarie.

 

Le elezioni del primo dicembre erano state vinte con il 43,3 per cento dei voti (circa 263 mila) dall’imprenditore Adama Barrow, anche lui 51enne e sostenuto da tutti i principali partiti d’opposizione del paese. Immediatamente dopo la diffusione dei risultati, Jammeh aveva riconosciuto la sconfitta, un atto che gli esperti dell’area avevano giudicato potenzialmente storico: il mandato triennale di Barrow sarebbe arrivato infatti dopo un regime autoritario durato ventidue anni, e ritenuto uno dei più saldi dell’intera Africa. Ma dopo qualche giorno Jammeh ha ricusato e poi annullato il voto a causa di presunte "serie e inaccettabili irregolarità durante il processo elettorale", una decisione arrivata dopo che i militanti dell’opposizione avevano prospettato la possibilità di indagare sulle violazioni dei diritti umani compiute dai militari e dalle forze di sicurezza durante il governo di Jammeh. Il presidente gambiano è infatti accusato di aver fatto incarcerare, torturare e uccidere giornalisti, leader religiosi e avversari politici.

 

Per annullare il voto, Jammeh ha presentato una mozione alla Corte suprema del paese che però, a causa della mancanza di giudici, esaminerà il ricorso soltanto a maggio. Il presidente ha quindi annunciato che manterrà il potere fino alla decisione della Corte, e nel frattempo ha provveduto a chiudere alcune radio e a minacciare l’occupazione militare della sede della Commissione elettorale, il cui presidente all’inizio dell’anno è scappato all’estero. Infine, ieri Jammeh ha dichiarato lo stato d’emergenza, con un annuncio pubblico in cui ha parlato di "una straordinaria interferenza straniera nelle elezioni presidenziali e negli affari interni del Gambia", senza aggiungere ulteriori spiegazioni.

 

Lo stato di emergenza, secondo la legge, vieta di compiere “atti di disobbedienza” e “azioni di disturbo dell’ordine pubblico”, e inoltre conferisce al presidente la possibilità di compiere arresti discrezionali, imporre il coprifuoco e chiudere le frontiere. Una scelta interpretata come l’ennesimo tentativo da parte di Jammeh di mantenere il potere, anche con la forza.

 

Non è ancora ben chiaro quali potranno essere i prossimi sviluppi: i tentativi diplomatici per convincere Jammeh ad accettare una transizione pacifica sono tutti falliti, mentre i leader dei paesi della regione si sono schierati contro di lui. Inoltre, quattro ministri del suo governo sono recentemente scappati in Senegal (il paese che circonda quasi completamente il Gambia, a parte lungo un tratto della costa atlantica). In Senegal attualmente si trova anche il vincitore delle elezioni Barrow, che negli scorsi giorni, secondo quanto scritto da Al Jazeera, ha confermato che il suo insediamento si terrà regolarmente.


Secondo diversi osservatori, il rischio è che per deporre Jammeh ci sia bisogno di un intervento militare. La Bbc ha scritto che il Senegal – attualmente alla guida della forza militare comune dell’Ecowas, l'organizzazione che riunisce 15 stati dell’area – sta preparando le sue truppe di terra "in vista della scadenza di giovedì"; l’agenzia Reuters invece ha citato una fonte militare nigeriana, secondo cui la Nigeria e altri paesi della regione "stanno preparando una forza militare congiunta per intervenire militarmente in Gambia" se Jammeh giovedì non lascerà il potere. Nel frattempo, migliaia di persone – tra cui anche molti turisti europei – stanno lasciando il paese per il timore che possano esplodere nuove violenze.

 

Nel caso di un intervento straniero, non è chiaro come si schiererà l’esercito gambiano: il suo capo, il generale Ousman Badjie, dopo la sconfitta di Jammeh si era congratulato con Adama Barrow e si era messo a sua disposizione, salvo fare anche lui dietrofront quando Jammeh ha cambiato idea. Il presidente, nel corso dei suoi 22 anni di permanenza al potere, ha strutturato l’esercito seguendo criteri di fedeltà personale e di favoritismi su base etnica e reclutando militari non gambiani, quindi poco interessati alla volontà del popolo. All’interno delle forze armate permangono comunque sacche di insoddisfazione nei confronti di Jammeh, che ha subìto almeno otto tentativi di colpo di stato – l’ultimo nel 2014. Perciò, nonostante le dichiarazioni del generale Badjie, se ci fosse davvero un intervento internazionale la fedeltà dell’esercito al presidente non sarebbe così automatica. Secondo la Bbc, "non ci si aspetta che il piccolo esercito del Gambia opponga resistenza, ma se anche lo facesse, le sue forze sarebbero battute velocemente".

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